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Officina dell’arte: 2023 volte P

Soundtrack da ascoltare durante la lettura: “Una Storia Sbagliata” – Fabrizio De Andrè

Ci stiamo per lasciare alle spalle il 2022… duemilaventidue come i disastri che si è portato con sé e i – fin troppi – conflitti che ha fatto nascere. Eppure, nel mezzo di tanto caos, qualche piccolo semino siamo riusciti a coltivarlo. Altrimenti chi sarebbe mai arrivato vivo fino a questo punto? Non mi riferisco al concerto dei OneRepublic, né tanto meno alla meravigliosa Biennale di Venezia. 

Sono passati cento anni dalla nascita di uno degli intellettuali italiani più influenti. L’uomo dalle tre P e dalle profonde contraddizioni che, per via della sua radicalità, si è fatto guardare male da molti, facendone innamorare altrettanti: Pier Paolo Pasolini. Dotato di una forte elasticità culturale, ci ha lasciato un’eredità da cineasta, traduttore, poeta, linguista e saggista. Ha guardato con occhio critico e attento la società del Dopoguerra, scagliando gravi invettive alla fiorente società dei consumi e alle abitudini borghesi. Per celebrare e ricordare il grande genio, Roma Capitale ha promosso eventi a lui dedicati, tra cui film, mostre e seminari.

Quadri di Pasolini esposti all’ultimo piano

Quadri esposti all’ultimo piano

Pennelli, pennellacci

Un po’ perché le mostre non si rifiutano mai, un po’ perché il Paso è un sempreverde, mi sono mobilitata alla ricerca di qualche esposizione interessante. I torridi sentieri di internet mi hanno portata lì, all’evento espositivo tenuto alla GAM – Galleria d’Arte Moderna di Roma Capitale -, con la premessa di scoprire un versante della produzione pasoliniana spesso lasciata da parte.

“Il mio gusto cinematografico, non è di origine cinematografica, ma figurativa […] E non riesco a concepire immagini, paesaggi, composizione di figura, al di fuori di questa mia iniziale passione pittorica […] Quindi quando le immagini sono in movimento, sono in movimento un po’ come se l’obiettivo si muovesse su loro come sopra un quadro”
-Pier Paolo Pasolini

Infatti, in mezzo a questi grandi cimeli culturali – come, ad esempio, il film “Teorema” o poesie manifesto del tipo “Alla Bandiera Rossa” – ci si perde un po’, finendo con il trascurare le operette minori, come la pittura. Per Pasolini l’arte era “materiale da tabernacoli”, attraverso cui arrivare alla “religione delle cose”. Lui stesso dichiarò, in una pubblicazione postuma, che non gli interessava strettamente rappresentare la realtà, ma giocare con le forme, con i chiaroscuri, ambendo a diventare un paesaggista provenzale o, nel peggiore dei casi, un neo-cubista.

Tra i fili d’erba

All’interno della mostra ci sono circa duecento opere dell’artista, selezionate dalla collezione del Gabinetto Scientifico Letterario G.P. Vieusseux di Firenze. Lungo i tre piani, sono molte le rappresentazioni di paesaggi naturalistici rurali e le nature morte. Poi, autoritratti e ritratti – generi da lui molto apprezzati –, dedicati a familiari e amici che, però, prendono le distanze da quelli dedicati a Maria Callas, Ezra Pound e Roberto Longhi. Al piano superiore, in conclusione dell’esposizione, c’è una sezione dedicata agli artisti della contemporaneità e le loro opere, estratte dalla collezione della Sovrintendenza Capitolina, con il presupposto di indagare sul rapporto tra Pasolini e l’arte italiana del Novecento.

Opera di Pasolini tradotta per i visitatori non vedenti

Opera tradotta per i visitatori non vedenti

Eppure

Un grande genio, con mille storie da raccontare e folli idee da gettare fuori, non può certamente essere ridotto in sole due rampe di scale e qualche quadro appeso alla parete. Chissà che ricerca c’è stata dietro a quei tratti, quali riflessioni attorno a quelle figure! Come introduzione – ad ogni piano -, c’erano dei lunghi papiri di nomi e date che non erano, però, funzionali a capire sul versante pratico cosa stessimo effettivamente guardandoTemevo di essermi ritrovata all’interno di un ufficio spoglio, in una dimensione domestica con poca luce e tanto spazio vuoto. I quadri, dai colori vibranti e forti, si scioglievano come neve al sole sotto quelle luci; era come se avessero preso i fogli e poi l’avessero gettati dentro la lavastoviglie

Le installazioni più “interattive” erano due filmati estratti da delle interviste – lasciate un po’ a sé stesse – e poi, una corta passeggiata all’interno della casa di uno sconosciuto. Quello che mi ha sorpresa è che si siano curati di rendere accessibile l’esposizione anche ai non vedenti, mettendo delle versioni delle opere in rilievo, in modo da poter tracciare con il dito le linee e il chiaroscuro dei dipinti. Del resto… larghi muri bianchi e citazioni incollate alle pareti. Un percorso breve e generico che, a malincuore, non mi ha lasciato nulla, se non la conferma di quello che temevo: la pittura, per Pasolini, è davvero un versante minore. Ma anche un grande punto interrogativo sulla testa: e se, magari, le sue opere siano state solo trascurate?

Dove sono la ricerca e la “pittura dialettale” di cui parlava nel 1970?

Forse, i disastri di quest’anno, sono duemila ventitré.

Scritto da: Laura 5D