Di cosa parla. Copenhagen, agli albori del Novecento. Sono queste le coordinate spazio-temporali in cui si apre The Danish girl, la toccante storia d’amore dai risvolti sorprendenti.
Lui, un tranquillo pittore di paesaggi velati sui trentacinque anni di nome Einar; lei, anch’essa pittrice, sebbene ritrattista, una bionda scappata dalla vita che le si era prospettata nella lontana Pasadena. Un matrimonio armonioso, una convivenza pacifica, un rapporto un po’ distaccato dal punto di vista fisico, passionale, ma saldo ed impeccabile per quanto riguarda la complicità intellettuale, quel filo invisibile che lega due persone in maniera profonda.
Un pomeriggio come tanti un gesto puerile, scherzoso ed innocente è destinato a stravolgere per sempre l’esistenza di Einar: Greta convince il marito ad indossare morbidi abiti femminili e a posare per lei, così da consentirle di terminare un ritratto che le era stato commissionato da una cantante lirica di nome Anna. In un solo istante, il pittore avverte con un fremito il meraviglioso contatto del tessuto sulla pelle, e l’incommensurabile gioia di sentirsi finalmente bello, in comunione con se stesso.
Nei giorni a venire questa nuova sensazione si trasforma rapidamente in consapevolezza, nell’accettazione dell’idea che dentro di sé è sempre esistito un corpo femminile, una delicata creatura di nome Lili Elbe, che dopo essere stata crudelmente intrappolata in un individuo maschile dalla natura matrigna, si vuole finalmente riprendere il proprio posto nel mondo, il suo diritto alla vita e alla felicità.
Se da una parte l’uomo si confronta in maniera positiva con questa divisione interiore, accettando di buon grado le sempre più lunghe visite quotidiane di Lili, che emerge ogniqualvolta Einar indossa indumenti femminili, e permettendole di ambientarsi a piccoli passi nella società e nelle relazioni interpersonali, Greta si trova in maggiore difficoltà, pur mantenendo per l’intera durata del libro un lodevole e strenue impegno nell’aiutare il proprio amato a trovare se stesso in questa situazione del tutto nuova ed inesplorata.
Dopo il notevole successo riscosso da Greta grazie ad un ciclo di ritratti aventi come unico soggetto la piccola Lili, i due coniugi si trasferiscono a Parigi, con il duplice proposito di affermare con maggiore impeto l’arte dell’emergente ritrattista, e di trovare al contempo delle risposte al problema di un sempre più assente Einar.
Intenzionata ad aiutare il marito con ogni mezzo, Greta organizza un incontro tra Lili ed Hans, un amico d’infanzia di cui Einar era stato innamorato in gioventù. Tuttavia, in questa parte del libro la vicenda sembra assumere una piega allarmante: tra Lili (che non vuole rivelare ad Hans che sotto le sue raffinate vesti e lo strato di trucco si trova nient’altri che l’amico perduto Einar) e l’uomo non scatta alcuna “scintilla”, mentre Greta si scopre anch’essa interessata ad Hans, e si impegna a reprimere questo sentimento crescente, almeno finché Einar esiste ancora. Inoltre, ciliegina sulla torta, svariati specialisti e luminari con cui il protagonista viene spronato a confidarsi affinché trovi una soluzione alla sua condizione non comprendono di avere per le mani ben altro che un caso di omosessualità o di pura perversione.
Tutto sembra perduto, Lili diventa sempre più pallida, magra, ed insofferente all’ingiusta punizione che la natura le ha inferto, quand’ecco che finalmente compare sulla scena un nuovo personaggio, il tassello finale di questo puzzle che spezzerà definitivamente le catene che tengono Lili vincolata al corpo di Einar: il professor Bolk.
Sarà infatti proprio la sua procedura sperimentale di riassegnazione sessuale, alla quale il protagonista decide volontariamente di sottoporsi come cavia, a donare a Lili la libertà di essere donna. Ma a che prezzo?
Il suo organismo non si riprenderà mai definitivamente dalla lunga serie di laceranti ed impegnativi interventi, di cui uno fallimentare (trapianto dell’utero), ma almeno ne sarà valsa la pena, perché potrà finalmente sposare il suo Henrik, dire di aver vissuto, di aver inseguito con coraggio un obiettivo, e di averlo fatto essendo se stessa: la piccola, delicatissima, forte Lili Elbe.
Perché consigliarlo. Questo romanzo è al contempo piuma ed ordigno esplosivo, racconto sentimentale e rovente tema d’attualità. Finalmente, una bella penna ha avuto il coraggio di affrontare in maniera semplice ma approfondita ed umana, alla portata di tutti, quello che è insensatamente ancora un argomento tabù nel XXI secolo: il mondo transgender. In una società che tutt’oggi si ostina ad emarginare queste persone e a rifiutare il diverso, associandolo automaticamente a qualcosa di sbagliato, la disinformazione è forse la più nociva delle componenti da sradicare nelle menti di coloro che hanno la pretesa di giudicare senza prima conoscere. Pur non entrando particolarmente nel merito dell’aspetto psicologico dei vari personaggi, The Danish girl rappresenta, al di là di una singolarissima storia d’amore e di sacrificio, un ottimo strumento per coinvolgere, informare e lasciare immedesimare i lettori in un protagonista pioniere del transgender che, pensate un po’, ha dei sentimenti, una grande forza d’animo, e degli ideali, proprio come noi. A dare ulteriore smalto a quest’opera è la verosimiglianza del racconto: esso è infatti tratto dalle testimonianze lasciateci da Einar Wegener, il primo transessuale della storia a sottoporsi a degli interventi di riassegnazione e a mostrarsi coraggiosamente al mondo per quello che era.
Per chi consigliarlo. Suggerisco la lettura di The Danish girl innanzituto ad entrambi i protagonisti nel teatro della discriminazione, ovvero a chi è tormentatore e a chi è tormentato: agli uni, nella speranza che riflettano attraverso una storia vera su cosa prova chi viene etichettato come “sbagliato”; agli altri, affinché il coraggio di Lili possa ispirarli ed aiutarli ad affrontare qualunque sia difficoltà o battaglia stiano combattendo. Un libro adatto sicuramente ad un pubblico più adulto e consapevole, ma che si potrebbe proporre anche a lettori più giovani, sebbene non giovanissimi. Questo con l’auspicio che, un lontano giorno, non ci saranno più persone che voltano la testa dall’altra parte davanti alle diversità fingendo che non esistano, perché abituati al fatto che al mondo non esiste solo il bianco o il nero, e in questo non c’è assolutamente niente di male: ciò che lo rende bello, è proprio il suo essere pieno di sfumature.
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