Sempre più stilisti dicono “bye-bye” alla Fashion Week americana
Durante la lettura si consiglia l’ascolto del brano: “Up on the Catwalk – Simple Minds”
Cominciata da appena due giorni (venerdì 7 febbraio ndr) la New York Fashion Week, che tradizionalmente dà il via al “Fashion Month” durante la prima settimana di Febbraio, potrebbe tranquillamente rendere opzionali le prime due parole della sua dicitura quest’anno, dato che indicherebbero una geolocalizzazione parzialmente inesatta.
È infatti con l’inizio di questa nuova decade che a New York sono state inflitte dure pugnalate alle spalle da alcuni tra i più importanti designers americani abituè della sua settimana della moda da ormai decenni.
Le sfilate caratterizzate geograficamente non sono più il cuore e l’anima dell’industria della moda. Possono funzionare in luoghi che hanno forti strutture organizzative come Francia o Italia, in assenza delle quali i designer emergenti farebbero bene a concentrarsi nella loro relazione con la clientela.
Da Tommy Hilfiger a Jeremy Scott e Ralph Lauren fino ad arrivare allo stesso presidente del Council of Fashion Designers of America (l’equivalente della Camera della Moda Italiana, per intenderci) Tom Ford, grandi brand snobbano la manifestazione in favore di un cambio di location per la presentazione delle proprie collezioni autunno/inverno 2020/2021.
Non bastava la psicosi riguardante il coronavirus, che ha bloccato partenze internazionali, a sabotare in qualche modo la Fashion Week: ci si è messo anche l’anticipo dell notte degli Oscar alla serata del 9 febbraio, creando una duplice reazione sulle passerelle newyorkesi. Innanzitutto sono mancate nell’intera giornata di oggi molte delle star A-listers genericamente presenti in prima fila durante i défilé; inoltre, per molte firme, non sarà possibile vestire attori, attrici e celebrities invitati sul red carpet del Dolby Theatre, con capi delle loro ultime collezioni, poiché non ancora presentate.
Il colpo più duro è stato probabilmente inferto da Tom Ford (stilista e regista) che, in Dicembre, aveva annunciato di voler sfilare a Los Angeles, asserendo:
È casa mia e ha avuto un forte impatto su come lavoro sia nella moda che al cinema.
Tom Ford
Decisione quantomeno inaspettata da parte del massimo rappresentante del Council, il cui compito dovrebbe essere quello di rafforzare l’autoctonia della moda Made in The U.S. e con essa quella del suo evento più storicamente rappresentativo: la Fashion Week newyorkese.
Ha sorpreso anche la mente creativa di Moschino, Jeremy Scott che, a inviti già spediti intorno alla metà di gennaio, decide di cancellare il suo show previsto per il 7 febbraio nella Grande Mela, posticipandolo a luglio e preferendo come location la città di Parigi.
Altri brand hanno cambiato i loro piani per la Fashion Week di quest’anno: M Missoni e Baja East sfileranno entrambi ad LA; Philip Lim celebrerà i suoi 15 anni di attività nel suo negozio di Great Jones Street; Veronica Beard, che ha sempre preferito presentare i suoi capi in modo statico, quest’anno scenderà in passerella mentre Hilfiger preferisce Londra. Tanto da indurre la più importante rivista di moda al mondo (Vogue America, ndr) a chiedersi se abbia ancora senso sfilare a New York.
Nonostante ciò alcuni portavoce del Consiglio degli Stilisti Americani hanno chiaramente smentito, almeno per ora, la possibilità di spostare la sede principale della Fashion Week statunitense.
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