Durante la lettura si consiglia l’ascolto del brano: “Vivere – Vasco Rossi”
Il lockdown ci ha devastato sia fisicamente che psichicamente, lasciando in ognuno di noi un segno indelebile. Ma ricordate, dopo ogni caduta, bisogna rialzarsi e risorgere dalle proprie ceneri. Proprio come insegna la filosofia kintsugi, che trasforma il dolore in un rito di nascita e rigenerazione.
Normalmente si pensa che sia più semplice buttare un oggetto rotto, piuttosto che ripararlo. Per farlo infatti, ci vuole pazienza, tempo e umiltà. In Giappone, esiste una tecnica particolare che prevede la riparazione di crepe e rotture attraverso l’impiego di materiali preziosi, come oro e argento. In questi tempi duri, il kintsugi è diventato metafora di resilienza, esaltando le nostre ferite e convertendole in un segno di vitalità. Alla fin dei conti l’anima non si spacca, rimane intatta. Solo grazie a questa concezione, possiamo pensare di trovare la forza per ricostruire le nostre vite.
Storia e significato del kintsugi
Il termine Kintsugi deriva da kin “oro” e tsugi “ricongiunzione”. Una leggenda narra che la storia del kintsugi sia legata alla figura di Ashikaga Yoshimasa, l’ottavo dittatore giapponese. Secondo il racconto, il militare ruppe un oggetto a lui caro e lo fece riparare in Cina. L’oggetto venne ricostituito con semplici punti metallici. Non soddisfatto dell’operato, Ashikaga, pretese a questo punto che gli artigiani nipponici trovassero una soluzione migliore. Nacque così il kintsugi, l’arte che celebra la delicatezza e fragilità degli oggetti, che si combinano con l’oro, materiale simbolo di eternità.
Come disse Leonard Cohen:
C’è una crepa in ogni cosa. Ed è da lì che entra la luce.
Leonard Cohen
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