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Cultura

Unici o diversi? Una precisazione a Drusilla Foer

today27 Aprile 2022

Background
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Soundtrack da ascoltare durante la lettura: “Siamo unici” – Nek

Da anni si discute sempre più di accettare la diversità e ne hanno parlato intellettuali e artisti di ogni calibro. Durante San Remo abbiamo ascoltato il toccante monologo di Drusilla Foer su diversità ed unicità.

L’intervento

La riflessione era interessante ma, proprio all’inizio, qualcosa stonava un po’ e mi dava da pensare… questo:

Tra l’altro diversità è una parola che non mi piace, perché ha in sé qualcosa di comparativo e una distanza che proprio non mi convince. Sento che quando la verbalizzo tradisco qualcosa che sento o che penso. E io trovo che le parole siano come gli amanti: quando non funzionano più vanno cambiate subito“.

Prosegue poi parlando del papabile sostituto: unicità!

Mi sono chiesto se dovremmo mandare diversità in pensione: capiamo innanzitutto che Drusilla non vuole la rimozione totale. Se dicessi “Non puoi capire, per te è unico“, oppure “Non era chiaro? Te lo spiego in maniera unica“, sarebbe assurdo: serve “diverso“.

Andrebbe cambiata solo dove c’entra l’accettazione: la diversità delle persone dalla norma!

Drusilla sostiene ciascuno sia unico, più che diverso, invitandoci ad accettare la nostra unicità, perché, in fondo, ognuno di noi sa di essere unico. Questo vale per tutti: perfino le persone più normali e stereotipate saranno differenti in qualcosa, uniche! Infine, dice, accettando la nostra unicità “sarà più probabile aprirsi all’unicità dell’altro”.

A cosa ci chiama Drusilla?

È un doppio invito: accettare sé stessi, con pregi e difetti, forze e debolezze, rivendicarli perché ci rendono unici. E accettare gli altri per come, a loro volta, sono unici; tutto partito da una riflessione sulle parole, diversità ed unicità.

È di questo, della speranza che le parole giuste ci facciano vivere e comportare meglio, che vorrei parlare.

Problemi con la diversità: comparazione e distanza

Veniamo ai problemi che Drusilla vede in “diversità”: comparazione e distanza, che in effetti ci sono entrambe.

La comparazione è l’aspetto meno rilevante, perché inevitabile: riguarda tutte le parole. In linguistica si ritiene che sia una necessità logica del linguaggio. Non è solo “diverso” ad implicare “da cosa?“, e quindi a “comparare“: pure l’unico è tale rispetto a ciò che è comune. 

Ma se paragonare è inevitabile, per la distanza è differente! L’etimo di diverso non lascia dubbi: di-vertere, dove vertere significa volgersi, voltarsi, e la particella di- indica proprio allontanamento, separazione. Il diverso quindi, etimologicamente, è qualcuno che se ne va in un’altra direzione: avoglia se “contiene una distanza”!

Ma alcuni sinonimi non la contengono: “altro” non ha una etimologia complessa, indica solo “non questo: altro“; mentre “vario” in latino (varius) significava “macchiato o screziato di molti colori“. Differente invece sarebbe il peggiore: il latino “diffèrre” significa addirittura “portare lontano“.

Ma credo che alla fine la parola migliore resti diversità, perché…

La distanza è un valore!

Almeno io la trovo un valore, qualcosa che arricchisce e in questo caso addirittura nobilita, se vogliamo. Prima però un distinguo: per accettare noi stessi forse ci aiuta vederci come unici, speciali, più che diversi: “Sono speciale, fico!”.

Mentre nell’accettare qualcuno trovo importante cogliere la sua diversità, più dell’unicità. E alla fine il diverso, seppure accetta sé stesso, soffre quando è rifiutato dagli altri.

Ma perché dico che la distanza sia un valore? Perché è vero: tutti siamo unici: io sono unico, idem mio fratello, il mio amico siciliano è unico anche lui. Ma quanto mi costa accettare l’unicità di mio fratello, che ha vissuto come me? O l’amico siciliano, se siamo maschi, bianchi, eterosessuali, italiani, parliamo italiano, mangiamo le stesse cose (il siciliano meglio) e ascoltiamo la stessa musica… se in sostanza andiamo tutti nella stessa direzione?

Mi costa molto poco, tutti unici ma vicini: facile comprendere, riconoscere, accettare.

Quanto mi costa invece accettare il totalmente diverso da me per religione, colore della pelle, nazionalità, sessualità e identità, alimentazione o cultura musicale? Mi costa di più. Non capirò alcune cose, che mi sembreranno insensate o sbagliate, ma se mi rassegno a non poterle comprendere, se prendo atto che mi sfuggiranno perché distanti – e va bene così! – allora posso accettarle per ciò che sono.

La distanza conta: ci ricorda che non è sempre facile accettare, ma anche che vale la pena farlo. D’altronde diverso e divertente hanno esattamente lo stesso etimo!

Ma la cosa più importante…

Ora vorrei concludere ricordando la cosa fondamentale: mai lasciarsi coinvolgere dalle “scoperte etimologiche”, tanto Drusilla quanto io. Scrivere questo articolo è stato stimolante e divertente (spero sia altrettanto per te) ma l’etimologia non è garante del significato. L’etimologia svela percorsi che le parole hanno fatto; ci dice l’accezione di certi termini secoli fa… ma non nel presente. Il significato e l’accezione correnti li danno i parlanti, e li riportano i dizionari.

Unicità, diversità, perfino differenza vanno tutte benissimo, non cambieranno il cuore o la mente delle persone. D’altronde l’etimologia è sempre stata una mia passione, ma non mi ha mai fatto soffrire; né quando lavoravo in una compagnia alberghiera il direttore veniva a dividere con me il suo pane!

Ma se uno vuole solo ragionare… è un giochino così sfizioso!

Written by: Emiliano Venanzini

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