Lo studio di registrazione era diventato un via vai di gente, un crocevia di popoli. Gli unici autoctoni di quel luogo erano tre appartenenti alla tribù dei tecnici che vedevano il loro ambiente naturale essere continuamente invaso da corpi estranei. Emiliano stava continuamente a riposizionare cavi che venivano sparpagliati dal passo sbrigativo delle persone, Alessandro stava al montaggio e Luca, fermo sul posto a guardarsi intorno sembrava contemplare quel paradiso tecnologico, come se dovesse entrare da un momento all’altro in comunione digitale con esso. Ad un certo punto si sentì un rapido sbattere di piedi in lontananza, che man mano diventava sempre più vicino, per cessare nel momento in cui Ilaria aprì la porta dello studio di registrazione:
“Chi fa il tecnico del programma adesso?”
I tre tecnici si guardarono per un istante che a Ilaria sembrò un’eternità, quando Luca prese la parola per porre fine al problema:
“Lo faccio io”
Anche se impercettibile per una persona comune, sui volti di Emiliano e Alessandro si disegnò un mezzo sorrisetto, che nella cultura dei tecnici rappresentava una dimostrazione di rispetto, in questo caso nei confronti di Luca, il commilitone che aveva deciso di sacrificarsi per permettere agli altri due di continuare il proprio lavoro. Luca uscì dalla stanza insieme a Ilaria, la cui testa ricomparve prontamente sulla soglia per augurare scherzosamente ai tecnici restati di esplodere. Era il suo modo di fare. Emiliano e Alessandro non ebbero neanche il tempo di rispondere. Non che ne sentissero il bisogno ovviamente, o avessero trovato la voglia di farlo.
Nonostante i loro modi burberi, i tecnici non erano ostili e anzi erano molto rispettati all’interno della radio. Senza di loro, d’altronde, non si poteva andare in onda. Erano soliti restare nelle retrovie, cosa che si sposava bene con il loro carattere schivo. Semplicemente si trovavano meglio con i loro simili, perché sentivano di poter essere capiti solo da membri della stessa specie. Ma questo non diminuiva l’alta considerazione che speaker e redattori avevano di loro, in particolare dopo “quel cazzo di blackout” della settimana scorsa, come veniva chiamato ormai da tutti, tranne che dai tecnici, loro preferivano il termine dagli echi militareschi “silenzio radio”. I tecnici erano infatti riusciti a risolvere il problema in pochi minuti, problema apparentemente superficiale che per una radio poteva risultare micidiale.
Luca si era seduto alla consolle dello studio due, quello delle dirette. Quel piccolo angolo di tecnologia era una riproposizione in scala del suo habitat, e solo lì lui si sentiva a suo agio, dietro la fila di computer. Cosa avrebbe potuto fare con quell’attrezzatura… produrre qualche base, mixare, creare… A volte desiderava quasi non dover sentire le indicazioni dello speaker, che prontamente lo strappavano da quei pensieri con la stessa violenza di un tornado che scoperchia il tetto di una casa.
La diretta procedeva bene, quando ad un certo punto uno degli stagisti speaker, Alessio, cominciò a dilungarsi troppo con il talk. Parlava ormai da quattro minuti, guardava davanti a sé, vittima dei suoi flussi di coscienza. Luca tagliava l’aria con le dita da ormai un minuto e mezzo, mimando delle forbici che nel linguaggio radiofonico si traducevano sempre con Stai a parlà troppo, taglia.
Cinque minuti erano passati, prima che lo stagista decidesse di lanciare il brano. Le note di Stiff Upper Lip degli AC DC riempirono solo adesso lo studio. Luca si levò le cuffie, ma aspettò qualche secondo prima di parlare: voleva vedere se Alessio aveva capito che c’era stato un problema. Dieci secondi e ancora nessuna ammissione di colpa.
“Alè, ma lo sai che hai parlato per cinque minuti? Te ogni tanto mi devi guardare, ti ho fatto segno di tagliare per almeno due minuti”
Alessio sapeva che era inutile rispondere all’accusa, anche perché sapeva di avere torto.
“Hai ragione, mi è completamente passato per la testa, ti giuro la prossima volta ci sto più attento”
Era sinceramente dispiaciuto.
“Dai non ti preoccupare, semplicemente la prossima volta guardami ogni tanto, anche perché è sempre meglio che guardare nel vuoto, non ci sta niente davanti a te”
Entrambi risero. Quell’umorismo non era comune per un tecnico, ma Luca se ne serviva ogni tanto per smorzare la tensione.
La diretta proseguì senza intoppi, Alessio salutò gli ascoltatori e ringraziò Luca, che prese le sue cose pronto ad un lungo viaggio in macchina per Sacrofano, dove si trovava la sua umile dimora.
Seduto nella sua stanza, Luca pensa a quello che vorrebbe fare, a quello che vorrebbe diventare. Prende la sua chitarra e comincia a suonare.
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