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Arte

Totò: il principe, il comico, l’immortale

today15 Aprile 2021

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Soundtrack da ascoltare durante la lettura: “Malafemmina” – Antonio De Curtis

Immaginate una città in cui imperversa l’azzurro del cielo aperto. Vedete ora un particolare promontorio, un vulcano, per la precisione. E poi tanto mare, l’odore del caffè, la musica. Benvenuti a Napoli, la città italiana che ha dato i natali al principe. No, non è un modo di dire: Antonio de Curtis, o, come tutti lo conosciamo, Totò, era davvero un principe. Magari non dalla nascita: i titoli nobiliari sono arrivati tardi, nella sua vita, ma lui vestiva quei panni da sempre.

Era il 15 aprile del 1967 e tutta l’Italia era in lutto, perché il cuore di Totò non ce l’ha fatta più. Accanto alla sua amata Franca, Totò se n’è andato lasciando un vuoto incolmabile. Si trovava a Roma, ma la sua tomba di famiglia era a Napoli. La cerimonia vera e propria della sua dipartita cominciò all’uscita dell’autostrada di Napoli all’arrivo della sua bara, con sopra l’immancabile bombetta. Un’immensa folla ha accolto il “principe della risata” per accompagnarlo nel suo ultimo viaggio.

La domanda sorge spontanea: come può aver fatto un uomo a farsi amare in questo modo da un intero Paese, se non da tutto il mondo? La risposta non è affatto semplice. Sarà stato quel naso, storto da quando ricevette un pugno in faccia facendo boxe. O forse quell’iconica bombetta a cui, altrimenti, può essere associato solo Charlie Chaplin. Oppure quel suo modo di rendere bella, divertente anche la situazione più drammatica. 

Ma c’è una cosa in particolare che Totò ha insegnato all’Italia tutta, grazie al suo modo di fare teatro ma soprattutto cinema, e sono, quasi banalmente, le parole. Tutto il giorno le utilizziamo e le usiamo impropriamente, magari, fingendoci intellettuali, le rubiamo addirittura dalle altre lingue. Ecco, Totò ci ha smascherato usando la sua stessa maschera. Le nostre parole vengono, finalmente, mostrate per quello che sono.

“Che, scusate se sono poche, ma settecentomila lire, punto e virgola, noi, noi ci fanno specie che quest’anno, una parola, quest’anno c’è stato una grande moria delle vacche, come voi ben sapete! Punto! Due punti!! Ma si, fai vedere che abbondiamo. Abbondandis in abbondandum. Questa moneta servono, questa moneta servono, questa moneta servono che voi vi consolate. Scrivi presto!”

Totò, Peppino e la… malafemmina a mostrarci come il parlato e lo scritto siano due universi lontanissimi, soprattutto se praticati da chi si atteggia a componente di classi sociali elevate. Perché sì, questo è un leitmotiv della sua Arte, delle sue opere: il confronto tra ceti. Si vede in Totò, Fabrizi e i giovani d’oggi, come anche in Miseria e Nobiltà e diverse altre sue opere. L’atteggiamento di chi vuole mostrarsi più elevato di quanto effettivamente sia, la rilevanza che viene data al denaro, al potere.

Ma Totò non osannava la ricchezza, non credeva fosse la chiave per la felicità. Forse su questa terra sì, ma chissà nell’aldilà…?

‘A morte ‘o ssaje ched’e?… è una livella.

‘Nu rre,’nu maggistrato,’nu grand’ommo,
trasenno stu canciello ha fatt’o punto
c’ha perzo tutto,’a vita e pure ‘o nomme:
tu nu t’hè fatto ancora chistu cunto?

Perciò, stamme a ssenti…nun fa’o restivo,
suppuorteme vicino-che te ‘mporta?

Sti ppagliacciate ‘e ffanno sulo ‘e vive:
nuje simmo serie…appartenimmo à morte!

Questa è ‘A livella, sicuramente la poesia più famosa di Totò, che racconta due anime che si incontrano al cimitero. Un marchese si ritrova sepolto accanto alla tomba un semplice uomo del popolo e si indigna, non vuole essere accostato a un netturbino. La risposta di quest’ultimo è eloquente: queste pagliacciate le fanno solo i vivi. Quanto è importante ciò che rimane sulla Terra quando si è solo anima…?

Ma Totò non è solo anima. È soprattutto Arte, cuore, risata. E noi, salutandolo indistintamente, lo ricordiamo così. Con le sue stesse parole.

Written by: Sara Claro

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