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Soundtrack da ascoltare durante la lettura: “Bird set free” – Sia
Ciechi si nasce o si diventa, ma non certo per contagio. Eppure Josè Saramago non fa fatica ad immaginare la “Cecità” come un virus pronto a dilagare senza pietà. Perché, in fondo, si può essere ciechi pur vedendoci, e questa condizione è pericolosamente contagiosa.
A mosca cieca ci abbiamo giocato tutti. Dopo quanti secondi arrivava l’impulso di togliere le mani, riaprire gli occhi e non vedere più nero? Per esperienza, siamo portati a credere che i ciechi sperimentino perennemente il buio e, in diretta, questa ipotesi ha portato con sé non poche domande.
“Ma se nasci cieco come fai a distinguere i colori? E se non hanno mai visto niente, cosa sognano, i ciechi?” –Narges
Ma Saramago vive la cecità in maniera differente: i suoi protagonisti – che non hanno mai un nome, ma vengono descritti per le loro qualità. Per esempio, “la ragazza con gli occhiali da sole”, qui disegnata da Alessandro – sono avvolti da un “male bianco”, ovattato.
Sono ciechi, ma vedono bianco e non nero, come se fossero accecati da una luce. Strappati alle loro vite e messi in quarantena in un manicomio abbandonato sotto stretto controllo, si ritroveranno a dover affrontare – a dir poco – spiacevoli dinamiche, a lottare per restare aggrappati alla loro umanità ed evitare di trasformarsi in animali. Una sola donna, tra loro, mantiene la vista per motivi a noi sconosciuti: lei sarà l’unica via per la salvezza.
La metafora è intuitiva:
“Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo. Ciechi che vedono. Ciechi che pur vedendo non vedono” -Jose Saramago
Il romanzo si conclude con una rivelazione da lasciar svegli tutta la notte, arrivata ancora prima che potessimo parlarne in diretta:
“È come se loro fossero accecati dalla luce del loro ego, e non riuscissero a vedere nient’altro…” –Francesco
Spesso si preferisce l’illusione alla realtà, perché il mondo fa paura. È la verità scomoda di chi decide di non vedere, non fare, non aiutare.
I protagonisti si trovano costretti a dover cambiare le abitudini che li accompagnano nella loro quotidianità, ma sarà proprio questo a farli crescere a fargli cambiare modo di vedere la vita stessa. La parola “quarantena”, a questo punto, dovrebbe aver già risvegliato qualche animo – Olivia Rodrigo, aiutaci: “Do you get dejavù?”- e rimane un’unica cosa da fare: chiedersi se siamo rimasti ciechi, nonostante tutto, o se abbiamo subito, anche noi, la nostra trasformazione…
Scritto da: Martina Alfonsi e Alice Franceschi
Written by: Alice Franceschi
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