Soundtrack da ascoltare durante la lettura:“Les Cornichons” – Nino Ferrer
Intervista allo chef Gianluca Passi del ristorante Numa Roma.
La cucina regionale è sottovalutata. La consideriamo povera. I suoi piatti principali, secondo la tradizione, risultato dell’ approvvigionamento degli antichi pastori dell’appenino delle zone limitrofe, che utilizzavano “quello che c’era”, cacio, pepe, pasta secca – oggi detta asciutta- e alterne varianti.
Oggi, se il NY Times stesso pubblica una variante della Carbonara – al pomodoro- noi di Voicebookradio.com ci siamo chiesti se effettivamente la tradizione della cucina romana sia immobile nel fermo-foto della tradizione. Immutabile e impermeabile ai nuovi impulsi. Lo abbiamo chiesto a una giovane mano, lo chef Gianluca Passi del ristorante Numa Roma.
Gianluca, la tradizione è così intoccabile?
No, assolutamente. Noi tendiamo sempre a mettere del nostro, qualcosa di innovativo. La tradizione è anche un po’ abitudine, ossia una formazione e una storia da parte dei professionisti che è difficile da toccare.
Battuta di Fassona con maionese di rapa rossa – Numa Roma
Lo stesso cliente si aspetta due cose diverse quando si parla di tradizione romana. Da una parte si aspetta i sapori e gli aromi classici, dall’altra vuole essere stupito, sorpreso da rivisitazioni – non troppo larghe sul tema- che gli danno l’idea di avere assaggiato un piatto di tradizione ma con l’intervento di una mano originale.
Fettuccine alla Gricia con carciofi – Numa Roma
La potremmo definire una mano “d’autore”. Tra l’alto, nella sua semplicità, nasconde delle insidie tecniche che sono un vero e proprio test per tanti cuochi e rivelano il livello di un ristorante…
Si può spaziare, quindi.
Certamente, ma con tatto. La variazione sul tema è una faccenda delicata. Per quanto si voglia spaziare o innovare il cliente sceglie sempre la tradizione. Non vuol dire che non abbia voglia di innovarsi, o sperimentare. Semplicemente, che trova quei sapori familiari. Ed è giusto che abbia una sorta di ancora di salvezza, non dico immutabile, ma solida a cui agganciarsi. Una carbonara rivisitata, magari con tutte le accortezze, magari con la salsa che è un ripieno invece che un condimento, non avrà mai il sapore di un piatto tradizionale.
Se la ricetta è fatta così c’è un motivo! Noi, chef non possiamo fare altro che comprenderne il motivo e trovare soluzioni che possano migliorare il piatto senza tradirlo.
La cucina regionale, poi, è considerata povera, da diversi punti di vista.
Intendi sugli ingredienti… ad esempio la cucina romana è quella considerat più “povera” in assoluto. Certo se consideriamo come cucina romana la carbonara, già citata, la cacio e pepe e la gricia, gli ingredienti sono gli stessi. Ma immaginiamo che già l’introduzione del pomodoro, dopo la scoperta dell’America, sia stata un rivoluzione. Arrabbiata, amatriciana, ecco delle varianti che con l’uso sono diventati classici.
Ma la cucina reginale è piena di ingredienti e ricette ancora sconosciute dalla moltitudine, e che noi, col nostro lavoro tentiamo di far riscoprire. In che senso è povera? Perché usa i proditti stagionali e li sfrutta al meglio? Perché grazie alla tradizione della cucina regionale, ci sono stati tramandati i saperi necessari per nutrirci al meglio senza esagerare? Anche nel costo… io questa la chiamo saggezza, non povertà. E la terra ci da prodotti innumerevoli.
Per esempio, dei piatti della tradizione che non conosciamo e possiamo ritrovare?
Posso scommettere che sono tanti. L’Italia è varia. Dà l’opportunità di avere a disposizione più o meno gli stessi prodotti. La tradizione invece è ricca, anche se locale, e un buon chef è sempre al lavoro per cercare, studiare ogni cucina regionale, e quindi proporre combinazioni. Che sia il carciofo fatto in un certo modo, alla semplice insalata. Un primo con una variante unica…
Il consiglio è quello di provare tutto. Variare, andare ai ristoranti. Crearsi un proprio gusto. E poi scegliere quello che più ci aggrada. Il cibo è cultura.
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