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Oggi si conclude la settimana vegana. E’ una notizia. Qualcuno dirà. “Grazie a Dio, non si parlava d’altro!”. Qualcun altro, invece: “Continuerò un’altra settimana”. Ci fa piacere. L’ambiente ringrazia.
Per chi non sapesse di cosa stiamo parlando, la Settimana Veg, è un’iniziativa che invita tutti a provare una dieta alternativa, che sia vegetariana, vegana o semplicemente rinunciando a una bistecca per pochi giorni, e sperimentare nuove ricette. Chi scrive, una sorta di lupo mannaro che adora la carne, ha deciso di provare e non è morto.
Noto che il piatto simbolo di questa settimana speciale è un Hamburger. Sembra un paradosso. Eppure proprio questa settimana diverse grandi catene di Fast Food hanno deciso di aprire un po’ in tutta Europa dei Temporary restaurant che offrivano menu totalmente vegetali. Anche perché la Settimana Vegana coincideva, questo venerdì 28 maggio, con l’Hamburger Day, che a quanto risulta è stato degnamente celebrato in tutto il mondo, complici le riaperture. Nel Marketing non esistono coincidenze.
Del marketing sono rimasto vittima anche io, e di fronte all’idea di mangiare un Hamburger di dimensioni spropositate e il conflitto etico interiore del sostegno alla settimana vegana che mi sono proposto, o optato per la mediazione e ho provato il famoso Impossible Burger, quello vegetale. Non sono morto neanche in questo caso, anzi sono rimasto sorpreso di constatare che non si tratta della soletta di scarpe che mi aspettavo. Non solo sembra, ma sa di carne! Ormai le alternative ci sono, bisogna solo provare.
L’altra cosa che ho notato è la passione e la felicità con cui le tante persone intorno a me addentavano il proprio panino. Immagino, che se fossi stato anche io un vegetariano di lungo corso e avessi assaggiato un panino vegetale che sa veramente di carne avrei provato le stesse emozioni.
Non c’è niente da fare, l’hamburger dopo la pizza è il piatto più amato e diffuso al mondo. Ma soprattutto in America dove sono disposti a fare code interminabili e a pagare 100 euro per il panino annunciato da Disneyland. Dell’America non mi stupisce più nulla, ma comprendo il loro attaccamento al piatto nazionale.
Solo che l’Hamburger non è americano, anche se è stato il gigante motore per la sua diffusione. Ma in maniera indiretta. Per trovare l’origine di questo piatto, bisogna fare un passo indietro e scoprire il suo illustre e più ricercato antenato. In una popolazione inaspettata, per giunta.
Impero romano. l’Orda dei Mongoli sta terrorizzando e mettendo a ferro e fuoco l’Europa costringendo gli stessi feroci barbari a chiedere aiuto e asilo ai romani per difendersi, talmente questa tribù era feroce. Lo storico Marcellino che li descrive, con commenti etnici oggi considerati politicamente scorretti, nota una cosa insolita nelle usanze di questi nomadi:
“… E sembrano incollati ai loro cavalli. Vi mangiano, vi bevono, vi dormono reclinati sulle criniere, vi trattano i loro affari… Vi fanno perfino da cucina, perché invece di cuocere la carne di cui si nutrono, si limitano a intiepidirla tenendola fra le cosce e la groppa del quadrupede”.
Abituati a fare lunghi e rapidi viaggi a cavallo questi terribili razziatori non avevano tempo da perdere a cucinare. Hanno però scoperto un metodo efficace per riuscire a consumare la carne cruda, perché l’attrito e il movimento della cavalcata non faceva altro che rompere le fibre. Una classica battuta di carne. Una cosa mai vista prima.
Ma la storia continua perché questa feroce Orda dopo qualche secolo, perso ogni interesse per l’Europa, decide di invadere la Russia, infestandola. Il risultato è che questo modo di consumare la carne, evitando il procedimento a cavallo, ha il suo successo tra la popolazione russa che aveva preso a chiamare gli invasori Tartari, tanto che lo stesso Zar non se ne privava mai. Il contatto con la cucina europea a un certo punto fa migrare questa carne nella Francia del ‘700 tove tutti si scoprono un po’ Chef e un po’ Gourmands e la chiamano Tartare. L’incontro tra Russia e Francia ha un ruolo decisivo nella nascita dell’Hamburger.
L’esercito francese invade la Russia. Contro ogni dire, se per qualcuno le guerre sono una disgrazia, per qualcun altro sono una benedizione. Specialmente le guerre napoleoniche. A muoversi con l’esercito, un carrozzone fatto da tantissimi spiantati locali, poveri e disperati, che hanno imparato a commerciare con i soldati prodotti di tutti i tipi, anche del cibo, dato che il rancio della truppa era quello che era. E questa carne tartara ha successo. Ma data la povertà e la dubbia provenienza della carne in tempo di guerra, i soldati preferiscono farsela cuocere al volo. Un morso e si riparte. Nasce il concetto di Fast Food.
Ma allora cosa c’entra l’America? C’entra, perché le guerre napoleoniche, dopo Waterloo hanno lasciato un’Europa povera, senza senza prospettive di futuro per una folla impressionante di miseri, a cui si aggiungono le centinaia di migliaia di persone che con il commercio con soldati riusciva a sopravvivere. Solo l’America è riuscita a risolvere. A modo suo.
Amburgo
Nel 1862 si diffonde in Europa la notizia che gli Stati Uniti hanno approvato una legge, la Homestead Act, che offre terre in abbondanza e a basso prezzo a chiunque, e quindi la prospettiva di ricchezza e prosperità.
Nasce il Sogno Americano e ha inizio la prima ondata migratoria. Mezza Europa, soprattutto quella dell’Est, si riversa ad Amburgo che all’epoca era il principale porto di collegamento con il nuovo continente.
Tra gli emigranti ritroviamo la nostra carne tartara ormai cotta e speziata, carne povera ovviamente, che ormai è entrata nella tradizione culinaria di quelle popolazioni, e si diffonde nella vita frenetica del porto tedesco nell’attesa di partire. Si diffonde rapidamente. Chi si imbarca addirittura fa scorte per il viaggio. Lo stesso mercato e traffico lo ritroviamo nei vari porti di arrivo della costa americana, dove ha il medesimo successo e da lì si insinua in tutto il territorio e la cultura americani.
Hamburger e America. Una storia stranamente legata a guerre e a folle che si muovono. L’enorme fila per assaggiare il panino da 100 euro di Disneyland è spiegata.
Written by: Andrea Famà
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