Potrà apparire come l’ennesima notizia sensazionistica volta a creare inutili allarmismi, ma la comunità scientifica è più che seria e gravida di motivazioni nel porre così drasticamente l’accento sulla questione: si avvicina a grandi passi la sesta estinzione di massa del pianeta, che porterà entro pochi decenni alla definitiva scomparsa del 75% circa delle specie viventi.
Nell’arco di 540 milioni di anni sulla Terra se ne sono susseguite cinque: la più recente, nonché la più approfondita e radicata nell’immaginario collettivo, è quella che vide l’estinzione dei mastodontici dinosauri, alcuni pesci primitivi, piante e batteri circa 65 milioni di anni fa.
Dunque, come mai la comunità scientifica si sente così allarmata nel rilevare alcune delle avvisaglie tipiche di un’estinzione di massa, se dopotutto si tratta di una naturale fase di transizione biotica in tempi geologici relativamente ristretti, in cui l’ecosistema del pianeta subisce una radicale trasformazione in stretta correlazione con l’aumento di Carbonio nell’ambiente?
Si chiama estinzione dell’Olocene e desta grande preoccupazione perché, per la prima volta nella Storia del mondo, a provocare l’innalzamento vertiginoso e innaturale del Carbonio (dovuto alle emissioni di anidride carbonica che produciamo incontrollatamente, ben riscontrabili nel riscaldamento globale e nelle relative conseguenze sull’ambiente e dei viventi) è una singola creatura, che tiene in pugno il destino di miliardi di altre: l’uomo.
Tutti i dati sembrano mostrare da una diversa angolazione uno scenario davvero drammatico: secondo un recente studio del WWF, negli ultimi 40 anni più del 60% delle altre specie viventi sono andate perdute a causa del nostro operato; Science Advance rincara la dose parlando di una vera e propria crisi delle biodiversità, sottolineando che in media si estinguono, nell’indifferenza più totale, tre specie l’ora. E chissà a quanto ammonterebbe la cifra precisa, se considerassimo tutti quegli esseri viventi non ancora scoperti e classificati. E ancora la IUCN (International Union for Conservation of Nature) segnala che circa il 30% dei vertebrati stia diminuendo di numero ed espansione geografica. Molti di noi, con tutta probabilità, vivranno abbastanza per assistere in prima persona alla scomparsa di molti animali fino a pochi anni prima così comuni e diffusi, di cui mai avremmo potuto immaginare l’estinzione nel giro di una manciata di decenni.
Infine, a chiudere il lugubre cerchio ci pensa il geofisico del MIT di Boston Daniel Rothman, il quale prevede che il processo di estinzione raggiungerà il suo Zenit già nel 2100, e impiegherà circa 10mila anni a trovare un nuovo equilibrio.
L’era dell’Antropocene sa sempre di più di amara e colpevole solitudine.
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