Soundtrack da ascoltare durante la lettura: “Auschwitz” – Francesco Guccini & I Nomadi
Il 31 luglio, Primo Levi avrebbe compiuto 101 anni. Nato nel 1919 a Torino in una famiglia ebrea, consegue la laurea in chimica nonostante le difficoltà imposte dalle leggi razziali del 1938 -che allontanavano gli ebrei da scuole e università, ma permettevano agli stessi di concludere corsi di laurea quasi terminati- e lavora per qualche tempo a Milano. Prima delle leggi razziali, Primo si sentiva abbastanza distante dall’antifascismo militante – di cui alcuni dei suoi familiari sono famosi esponenti, come suo cugino Vittorio Foa – ma con l’allontanamento degli ebrei dalla società questo sentimento lo spinge sempre di più verso gruppi organizzati. Durante l’occupazione nazista si rifugia insieme alla famiglia in Valle d’Aosta con un gruppo di partigiani, ma in seguito ad una denuncia vengono trovati e interrogati. Primo sceglie di rivelare le sue origini ebraiche poiché era appena uscito un bando (novembre 1943) che condannava a morte i partecipanti alla resistenza, credendo di salvarsi da morte certa, ma viene deportato prima nel un campo di transito di Fossoli e poi nel febbraio del 44 ad Auschwitz.
Essendo utile come chimico ai tedeschi, viene mandato a lavorare in una fabbrica, salvandosi dalle camere a gas. Impiegato come forza lavoro, quasi come uno schiavo, riesce a sopravvivere alla terribile prigionia. Torna nell’ottobre del 1945, in una Torino in cui i genitori e molti amici sono sopravvissuti, riprende il suo lavoro di chimico e inizia a scrivere.
“Accade facilmente, a chi ha perso tutto, di perdere se stesso” da “Se questo è un uomo” di Primo Levi
Lui non si è perso.
Appena tornato a Torino da Auschwitz, attraverso un lunghissimo e tortuoso viaggio nell’Europa dell’est, ha deciso di trasmettere quello che aveva visto e vissuto in prima persona nei campi di sterminio.
“Se questo è un uomo”, di Primo Levi, è la Memoria della Shoah. Ci racconta in vivide immagini quella terrificante esperienza a cui pochi sono sopravvissuti, con sorprendente rigore e pudore delle emozioni che, pur essendo presenti, non dominano la sua scrittura. Rimane asciutta, senza tuttavia perdere forza narrante: il suo modo di raccontare è particolare, infuso di una metodologia nata dalla sua pratica scientifica e dai suoi studi nel campo della chimica. Raggiunge il lettore con un testo puro che lascia spazio all’emozione di chi legge.
Nonostante la sua grandezza come scrittore, Einaudi si rifiuta di pubblicarlo nel 1947: esce con una piccola casa editrice e solo nel 1958 verrà finalmente pubblicato. Il suo lavoro non si limita al racconto della Shoah, ma la sua denuncia lo ha reso uno degli autori più importanti del Novecento, oggi conosciuto e studiato in tutto il mondo insieme al resto delle sue opere.
Muore l’11 aprile del 1987 a seguito di una caduta dalle scale della propria casa di Torino. Riposa tutt’ora nel cimitero monumentale della sua città.
Ringraziamo Anna Foa per la sua preziosa testimonianza che ci ha consentito di raccogliere informazioni di prima mano, la memoria inizia dall’ascolto dei testimoni della Storia.
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