Il ciclo vitale della plastica rappresenta da lungo tempo un gravissimo problema: questo composto di nostra creazione, infatti, non solo è soggetto a lentissima decomposizione (c’è chi parla di mille anni di tempo per la completa degradazione di una singola bottiglia!), ma il suo utilizzo sconsiderato nella realizzazione di imballaggi e recipienti usa e getta di ogni sorta crea nel giro di pochi giorni un accumulo veramente impressionante di rifiuti da smaltire.
Se sommiamo a tutto ciò la nostra apparente incapacità di fare centro con la mano nell’apposito bidone dell’immondizia, è facile osservare intorno a noi un vero e proprio disastro ambientale, che si concretizza nelle famose isole di plastica e nell’intossicazione di sempre più creature marine, molte delle quali finiscono nelle nostre pance, per giunta.
Ad oggi si contano almeno 8,3 miliardi di tonnellate di plastica usata sparse in tutto il mondo.
8,3.
Miliardi.
Di tonnellate.
Fatte queste allarmanti premesse, appare evidente l’urgenza di un intervento di smaltimento ad impatto nullo sull’ambiente, se vogliamo continuare a definirci ancora a lungo i padroni della Terra.
Qualcosa, in effetti, è stato individuato in una discarica di Islamabad, Pakistan, dagli scienziati del Royal Botanic Gardens Kew di Londra: si tratta dell’Aspergillus tubingensis, un fungo molto speciale.
La particolarità principale di questo decompositore naturale, consiste nella sua capacità di crescere e svilupparsi direttamente sulla superficie della plastica stessa.
Attraverso un enzima fungino che si sviluppa dal germoglio, l’Aspergillus tubingensis è in grado di abbattere i legami chimici instaurati tra le varie molecole che costituiscono la plastica, accelerando in maniera determinante il processo di decomposizione del pericoloso rifiuto.
C’è da aggiungere che, negli ultimi mesi, questa non sia stata l’unica specie di fungo “mangiaplastica” scoperta, e nonostante gli studi in questo ambito siano ancora in fase preliminare, scienziati di tutto il mondo incominciano già ad avanzare coraggiosamente l’ipotesi di un futuro improntato sulla moltiplicazione e lo sfruttamento di questo minuscolo alleato contro mezzo pianeta da ripulire, un processo che comunque richiederà tantissimo tempo, ma che fa sperare in un futuro migliore.
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