Il “Sentiero per il Paradiso” passa per l’inferno?
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Il rientro a scuola è realtà! Il 18 gennaio, infatti, gli studenti delle scuole superiori delle regioni Lazio, Molise, Emilia Romagna e Piemonte hanno ricominciato ad attraversare i corridoi dei loro istituti dopo più di otto mesi in videolezione.
E’ marzo, il nostro Paese viene colpito da un misterioso virus di cui si conosce poco. Allora ancora non sapevamo quali sarebbero state le conseguenze del nuovo SARS-CoV-2 e della malattia da esso causata, la COVID-19. Da quel momento in poi la vita di ogni studente italiano cambia drasticamente. Nessuno era preparato ad una pandemia, non lo era il Paese, né il sistema scolastico. I giorni passano, e tra un’incertezza e un’altra un gruppo di docenti decide di mettersi d’impegno e di adattarsi alla situazione: nasce la DaD, una nuova forma di didattica che, sfruttando mezzi informatici e digitali, permette ai docenti di non perdere completamente i contatti con i propri alunni. La nuova modalità di fare didattica permette, in certi contesti, di “tamponare la ferita”, arrangiandosi con quello che con la sola volontà da parte dei docenti era possibile fare in quel momento, sperando di tornare in presenza il prima possibile. La DaD nasce quindi come una misura emergenziale, frutto della tempestività e della caparbietà dei docenti in assenza di indicazioni ministeriali.
I mesi passano e dalla DaD si passa alla DDI rendendo, di fatto, la modalità telematica strutturale al sistema scolastico. Iniziano ad emergere anche le prime statistiche le quali dimostrano un elevato aumento del tasso di abbandono scolastico, specie fra gli studenti provenienti da un’estrazione sociale meno agiata che spesso si ritrovano a dover condividere il proprio dispositivo con i propri fratelli o con i propri genitori in smart-working o, in alcune situazioni, a non averne neanche il possesso.
Le vacanze estive rappresentano un po’ una boccata d’aria per tutti: l’anno scolastico, sicuramente molto particolare, è finito lasciando il posto a quella classica leggerezza che accompagna tutti gli studenti nei famosi tre mesi di vacanze, che forse passano troppo in fretta. A settembre si torna a scuola, ma non tutti, solo un po’. E’ vero, il rientro a scuola c’è stato, ma non si è tornati a quella scuola a cui si era abituati. C’è sempre qualcosa di diverso, qualcosa che ricorda che l’incubo della pandemia non è ancora finito, ma è ancora lì a permeare le nostre vite.
I casi aumentano, spaventosamente, c’è chi inizia a parlare di seconda ondata e di quanto sia peggiore della prima. Iniziano i primi casi nelle classi, gli alunni e i professori vengono messi in quarantena preventiva: c’è qualcosa che non va. La scuola e tutto quello che vi ruota intorno non è pronta, non è preparata. E così, com’era prevedibile, gli studenti tornano a seguire le lezioni tramite computer, dopo un “rientro” durato solo poche settimane.
Il rientro a scuola è, ormai, già avvenuto. Ma siamo sicuri fosse la scelta giusta? Stiamo forse ricommettendo lo stesso errore?
Studenti e docenti sembrano convinti di sì. Ce lo hanno dimostrato protestando davanti ai propri istituti, affermando di star vivendo un “rientro senza sicurezza che rischia inevitabilmente di condannare la prospettiva di un rientro vero e proprio ad un altro fallimento, proprio come quello sperimentato a settembre“. E, in effetti, non hanno tutti i torti. Ad otto mesi di distanza, infatti, molti istituti non sono a norma e la rete dei trasporti pubblici, seppur potenziata, non è in grado di reggere il peso dello spostamento degli studenti necessario per raggiungere le proprie scuole.
Sarà un ulteriore fallimento o forse, questa volta, le cose andranno meglio?
Written by: Daniele Agostini
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