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Soundtrack da ascoltare durante la lettura: “All Along The Watchtower”- Bob Dylan
C’è un mondo musicale a parte che spesso viene un po’ sottovalutato o non preso abbastanza sul serio. Stiamo parlando delle cover che, negli anni, hanno dato nuova luce a brani musicali già celebri di per sè. Rivisitazioni a tinte più o meno forti, arricchimenti e stravolgimenti che, dall’autore originale, sono passati tra le mani di altri illustri colleghi.
Questo è il primo di una serie di articoli che vi porteranno a passeggio in brani che hanno fatto la storia e che continuano a farla attraverso infinite riedizioni spalmate su e giù nel tempo. E non potevamo non cominciare se non rendendo omaggio ad uno dei veri giganti della musica mondiale. Bob Dylan.
Tra gli innumerevoli successi di Bob Dylan ritroviamo questo brano, che è stato d’ispirazione per moltissime cover. Si tratta di All Along The Watchtower. Fu inserita nell’album John Wesley Harding, che potremmo definire di passaggio e che Dylan registrò alla fine del 1967 alla fine di un anno difficile -aveva rischiato di morire in moto in un incidente solo diciotto mesi prima-.
Nel brano ci sono un giullare e un ladro che parlano del decadimento morale del mondo e intendono allearsi per salvarlo. Nel testo ci sono riferimenti sia epici che profetici che rimandano ad un brano biblico del Profeta di Isaia, che narra proprio di due cavalieri che preannunciano l’apocalisse. A livello stilistico si avverte subito un forte cambiamento. Si passa, infatti, dalle sonorità rock a quelle Folk-acustiche, in cui domina la sua celebre armonica.
Sono addirittura 29 gli artisti che hanno ripreso a modo loro questa storica canzone. E ognuno di loro ha dato al brano un’impronta personalissima, complice anche la profonda versatilità del brano stesso. Decisamente rock la versione degli U2 per esempio. C’è aria di ribellione nella voce di Bono Vox e nel ritmo incalzante e quasi rabbioso della batteria.
Tanti sono stati gli artisti -gli U2, Pearl Jam, Neil Young e altri 26- che hanno ripreso questo brano.
Emblematica anche la rielaborazione di Eddie Vedder dei Pearl Jam scritta per la colonna sonora del film I’m not there. Essenziale, attualizzata ai tempi nostri con sonorità tipicamente grunge e una chitarra molto incisiva a farla da padrona. Una spirale emotiva, quasi ipnotica che si sviluppa sulla struttura originale del brano e che cresce via via anche nell voce sempre perfetta di Vedder. Davvero un gran bel sentire!
Nelle mani di un altro gigante della musica americana, questa canzone prende il volo in tutt’altra direzione. Neil Young rielabora All along the Watchover senza filtri e senza convenevoli. Andando dritto al nucleo del brano, valorizzando in modo straordinario gli assoli di chitarra e tornando un po’ all’essenzialità della versione originale. Energia, ritmo incalzante e il suo timbro vocale, sempre perfettamente centrato e riconoscibile, fanno il resto. Si vola ad occhi chiusi e nemmeno ci si accorge di essere altrove!
Se parliamo di grandi chitarristi che hanno reinterpretato questo brano non possiamo non citare la mano vellutata di Clapton. Insieme a Lenny Kravitz ha realizzato una cover straordinaria e senza precedenti. Ricca, succosa di virtuosismi dove la voce di Lenny si intreccia a meraviglia al tocco limpido, caldo e pulito della Fender di Clapton. Distorsioni travolgenti, corde che cantano insieme alla voce portante. La perfetta fusone di chi entra in un brano e sa rimodellarselo addosso con una maestria senza precedenti. Non manca proprio nulla… anzi!
Alla fine degli anni 70 anche la sacerdotessa del Rock, Patti Smith, si è cimentata nella reinvenzione della storica creazione di Dylan. Con voce quasi maschile velocizza il ritmo fino a renderlo quasi ossessivo, a tratti stridente grazie a una chitarra acutissima. E’ la sua personalissima impronta che lascia decisamente il segno!
Ma la storia ha consacrato una versione in particolare come la migliore in assoluto. Sto parlando della cover che Jimi Hendrix lanciò nel 1968 per il suo terzo disco Electric Ladyland. Questo uscì in realtà un mese prima di quello di Dylan, che ritardò la pubblicazione del suo di circa un anno. Per registrare il brano, Hendrix impiegò diversi mesi, dato che volle riarrangiare alcune parti lui stesso.
Il risultato finale premiò il meticoloso artista americano, al punto che lo stesso Dylan ha apertamente ammise di essere rimasto piacevolmente colpito da questa versione.
“Amo il disco di Jimi Hendrix… È divertente che quando la canto, mi sembra sempre che sia un tributo a lui in qualche modo.”
In effetti, ascoltare il brano provoca una scossa emozionale senza precedenti ancora oggi. Le sei corde di Jimi Hendrix trionfano con un’abilità impressionante sulla ritmica di base. Parlano, accompagnano la voce e quasi rispondono alle strofe cantate con identica incisività. Anzi rafforzano un testo già potente di per sè. L’assoluta perfezione di questa cover attraversa i decenni senza la minima scalfitura.
Che percorso incredibile può regalare una singola canzone! Uno scrigo ricco di emozioni che si apre con una chiave diversa ad ogni nuova reinterpretazione. Il mondo delle cover è affascinante anche e soprattutto per questo. Se sei curioso di conoscerne di nuove, non perderti i prossimi articoli dei nostri colleghi di redazione che ti racconteranno altre curiosità sulle hit che non hanno avuto scampo al fascino della reinterpretazione.
Scritto da Valentina Proietto Scipioni e Lorenzo Poeta
Written by: Redazione
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