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Soundtrack da ascoltare durante la lettura: “La Primavera” – Antonio Vivaldi
La primavera è ufficialmente iniziata con l’equinozio del 20 marzo, ma il cielo è grigio e piove… è tempo di festeggiare oppure no?
Nell’immaginario comune la primavera è portatrice di temperature miti, cieli sereni e prati fioriti. La seconda settimana invece è partita umidiccia, con cieli nuvolosi e pioggia su quasi tutta la nazione. Un po’ di instabilità, normale a inizio stagione, che secondo le previsioni meteo non dovrebbe durare a lungo.
Può sembrare strano che in passato questo periodo fosse così importante, nonostante il clima fastidiosamente umido e la pioggia improvvisa. Infatti era un tempo dedicato ad ogni sorta di festività, vere e proprie espressioni di gioia e ringraziamento verso madre natura.
Pensate che l’acqua non era un disturbo al tempo. Al contrario, rappresentava un simbolo di rinascita, rinnovo e trionfo della natura. Non deve quindi stupire che molti dei calendari antichi inizino in primavera o estate.
I calendari degli antichi cinesi, persiani e babilonesi condividono l’equinozio di primavera come capo d’anno. Invece per gli aztechi un nuovo anno iniziava a maggio, per i maya a luglio.
Molte popolazioni antiche dipendevano dall’agricoltura per sopravvivere, quindi l’anno era basato sui ritmi della natura. Spesso veniva diviso in due grandi periodi di sterilità e fertilità. I greci antichi, ad esempio, inizialmente consideravano solo estate ed inverno: primavera ed autunno vennero dopo.
Invece l’uomo primitivo osservava i fenomeni naturali che si ripetevano ogni anno, traendone conclusioni pratiche. In che direzione soffia il vento? C’è il monsone? Si può coltivare? Appaiono le anatre selvatiche? I salmoni risalgono la corrente? Le foglie ingialliscono?
Insomma, non è difficile capire perché la fine dell’inverno fosse considerata un evento gioioso. Le piante maturavano, gli animali selvatici uscivano dalle loro tane e le temperature iniziavano a salire. A tal proposito, la festa di Sham el-Nessim veniva celebrata in Egitto già 4700 anni fa. Il suo nome è probabilmente riconducibile al termine shamo, che significa “rinnovo della vita”.
Gli antichi egizi, esperti di matematica ed astrologia, dividevano infatti l’anno in tre stagioni di quattro mesi l’una. Da luglio a novembre era Akhet, durante la quale il Nilo inondava le terre circostanti, fertilizzandole. Da novembre a marzo era Peret: le acque si ritiravano e la vegetazione cresceva robusta, pronta ad essere coltivata. Fra marzo e luglio ricorreva Shemu, la calda stagione del raccolto e delle acque basse. Ed il ciclo ricominciava, insieme all’anno.
Oggi non dipendiamo più così tanto da questi periodi per sopravvivere, anche grazie alla disponibilità continua di merci offerta dalla globalizzazione. Ma non tutte le antiche usanze sono state dimenticate. Nel paganesimo ed in molte religioni neo-pagane, come ad esempio la Wicca, l’ordine naturale delle stagioni è ancora tenuto in grande considerazione. Viene rappresentato da otto grandi sabba, festività associate ai ritmi dell’agricoltura e dell’allevamento.
Proprio in questo periodo si festeggia Ostara. E’ un’antica festa germanica dedicata alla dea Eostre e riguarda ovviamente la rigenerazione della natura e della vita. Si accende un cero per festeggiare e si organizzano banchetti, danze e perfino rituali più… “fisici”.
In sintesi, la pioggia per gli antichi non era sempre qualcosa di negativo, anzi spesso rappresentava un’opportunità. L’equinozio di primavera era un momento importante dell’anno, considerato da molte culture come un’occasione di rinascita e nuova prosperità. Sta a voi decidere se si tratti di saggezza degli antichi o semplici superstizioni.
Nel dubbio, tenete un ombrello a portata di mano.
Scritto da Matteo De Nunzio
Written by: Redazione
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