Soundtrack da ascoltare durante la lettura: “In radio” – Marracash
Mi sono imbattuta sui social in alcune opere d’arte che mi hanno catturata per la loro particolarità e quindi oggi, perVoicebookradio.com, intervisto il loro autore, Alessandro Stronati. Dietro i suoi colori scopriremo un mondo che non immaginiamo…
Come si può parlare di arte quando hai di fronte un giovanissimo studente di medicina di 24 anni? Quale potrebbe essere il nesso fra i due argomenti?
Eppure oggi, grazie al pittore Alessandro Stronati, faremo una passeggiata in quello che sembra un universo parallelo e libero fatto di dicotomie, a metà tra scienza e arte. Tra medicina e pittura. Tra biologia ed anima.
Ma facciamo un piccolo passo indietro. Alessandro si avvicina alla pittura durante il periodo in cui ha vissuto a Madrid, iniziando a sentire addosso un fortissimo legame tra il suo percorso artistico e quello accademico. Apparentemente così lontani…
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È così che i suoi lavori traggono ispirazione dalle scienze mediche, ma si avvalgono delle tecniche artistiche per arrivare con più immediatezza a chi gode l’opera.
Luce e materia, moderno e antico. Attraverso l’uso dello stucco e della formazione di crepature, Alessandro Stronati raggiunge lo spettatore al di là del piano pittorico.
Grazie alle crepature le pennellate di luce raggiungono l’osservatore con un linguaggio primordiale e al contempo moderno, grazie all’impiego di LED colorati.
Alessandro, come è nata questa esigenza di unire le tue propensioni artistiche con i tuoi studi scientifici?
“Inizialmente arte e scienza erano due entità assolutamente distinte nella mia vita, poi con la mostra del 2017 le ho unite. Più che un’esigenza è stata una conseguenza inevitabile, negli stessi anni in cui ho iniziato ad usare questa nuova tecnica (LightingUpArt) iniziavo l’università. Il primo anno non ero entrato a medicina quindi l’anno dopo ho dovuto recuperare, e farne due in uno, è stato abbastanza intenso dove i miei input ricevevano solo nozioni mediche ed all’output avevo solo l’arte come sfogo, però mi ha dato anche molta ispirazione. La componente medica era sicuramente più evidente qualche anno fa,all’inizio dei miei studi, però penso che ne resterà sempre una traccia nei miei lavori in futuro. infatti nelle opere che sto preparando per la prossima mostra di settembre ci sarà un po’ di psicologia/psichiatria”.
L’idea delle crepe nello stucco ha qualcosa di profondamente umano e fragile in sé. Non è vero?
“Le prime volte che ho iniziato ad usare lo stucco le crepe non erano previste e stupidamente non me le aspettavo proprio. Però già dal primo esperimento mi sono piaciute, non le stavo cercando ma erano proprio quello che cercavo. Alla prima occhiata sono molto simili a quelle di Burri, però ci si accorge subito di quanto l’irregolarità, data dalla casualità con cui lo stucco si crepa, le renda diverse da quest’ultime. Già soltanto questo legame con il passato mi piaceva. Inoltre mi attirava molto la possibilità di creare dei bassi rilievi che avessero ogni volta una texture unica. Poi quando ho capito che ci potevo aggiungere la luce, mi sono convinto che andava perseguita come strada o almeno che meritava un tentativo, e lì è nata la Lighting Up Art. Posso dire con sincerità che anche dopo quasi 5 anni di questa tecnica il risultato mi emoziona ancora, cosa molto rara fra i miei amici artisti e non solo. Sicuramente la lettura della fragilità è quella che preferisco ed anche quella che contribuisce maggiormente all’emozione che ancora questa tecnica mi trasmette. L’impressione che un pezzo di stucco possa staccarsi da un momento all’altro, come se la luce lo spingesse fuori dalla tela, trasmette perfettamente la fragilità che , secondo me , hanno un po’ tutte le opere sia mie che di altri”.
So che costruisci da solo le tue tele, mi spieghi questa scelta?
“Le tele le ho iniziate a fare da solo per la mostra del 2017, che appunto si intotolava “sculture su grandi tele”. Erano così grandi che difficilmente le avrei trovate e trasportate nella galleria, quindi abbiamo deciso di costruirle direttamente li (per far uscire la più grande dalla galleria abbiamo dovuto momentaneamente smontare una parte della porta). Successivamente ho continuato a costruirle da solo anche se più piccole, ne ho scoperto i vantaggi ed adesso non ne posso più fare a meno. Per esempio per le mie opere uso una tela molto diversa dalle tele per pittura comuni. E’ un tessuto molto poroso e non trattato che permette di far passare molta più luce, in confronto ad i tessuti normali queste tele sembrano dei televisori quando retro illuminate. Poi ovviamente anche il fatto di partire da zero e portare a termine un’opera da molta soddisfazione”.
Ascolti musica mentre crei? E se il tuo modo di fare arte fosse una canzone, quale sarebbe?
“Si certo, l’unica cosa che faccio senza musica è studiare. Mentre dipingo ascolto un po’ di tutto, davvero di tutto. Non saprei identificare il mio stile artistico in un genere musicale, però sicuramente sarebbe una canzone “conscious” , quindi in senso ampio una qualsiasi canzone che abbia un messaggio o significato un po’ più profondo della media. Riguardo alla profondità dei messaggi mi piace molto giocare sul banale/profondo, come nella musica penso che i messaggi profondi che si travestono da banalità abbiano un che di speciale e si fanno spesso notare meglio dallo spettatore distratto. Non saprei quale canzone sarebbe, però mi piacerebbe fosse una di Marracash, ce ne sono tante sue molto importanti per me. Lui fa frecciatine che toccano temi profondi ma la prima cosa che vedi è la cocca, della freccia. Un po’ è quello che provo a fare anche io, creare messaggi facilmente fraintendibili per banalità”.
Cosa racconti principalmente con le tue opere?
“Molti leggono le mie opere come autobiografiche, e sicuramente lo sono ma neanche troppo. Mi piace descrive ciò che vedo in giro, ciò che i miei amici mi raccontano; sensazioni, problemi ed emozioni. in genere la creazione dei messaggi delle mie opere inizia con un’informazione esterna che mi viene raccontata o la osservo o la vivo. E da qui mi dico “questa cosa è così”. Lo step successivo è chiedersi il “perchè è così”, in genere senza darsi una risposta esaustiva, però lasciando aperto il problema del perchè deve essere così ed eventualmente sottolineare quanto sia strano, bello o ingiusta quella cosa. Faccio un esempio per essere più chiaro: L’ultima opera che ho pubblicato, negli spoiler della mostra di settembre, ritrae la sagoma di un bambino incatenato, che mostra le sue catene. queste catene sono grandi e pesanti e si portano giù fino al terreno dove si legano a delle grosse radici. in didascalia scrivo riferendomi alle catene: “Possono mettere le radici o possono nascere dalle tue radici. Puoi essere tu a crescere o loro ad accorciarsi. Sappiamo sentirci liberi ma non ho ancora ben capito se possiamo esserlo.” Tutto ciò nasce dal dubbio sul perchè molte persone o tutti, tendono ad essere legati e spesso limitati a qualcosa, in modo anche naturale. Nasce da quella sensazione che sente il lettore durante “Dubliners” di J.joyce o “I Malavoglia” di Verga. Da un lato la paralisi e dall’altro il ciclo dei vinti. Questi sono i sentimenti più vicini a quello che ho provato ad esprimere con quest’opera, non so descriverlo a parole quindi l’ho messa su tela”.
Al di là delle opere che vi propongo in questo articolo vi invito a cercare questo artista su instagram per farvi coinvolgere dalle sue creazioni. Lo troverete come @alestronati.
Soundtrack da ascoltare durante la lettura: "Hit 'Em Up" - 2Pac Insultare la gente è bello. Inutile fare gli ipocriti e dire che insultare è da maleducati. L’insulto è un’arte, la capacità di abbattere il proprio avversario verbalmente. Quella dell’invettiva è una pratica tramandata sin dall’antichità. Ipponatte, tra i massimi esponenti della poesia giambica, inventore del verso scazonte, tutte cose che adesso non mi va di spiegare e che servono […]
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