Di cosa parla. Prima di etichettare come “il solito libriccino barboso che il prof. ti costringe a leggere per le vacanze” questa famosa opera dannunziana senza ancora averla nemmeno letta, vi invito a concedermi appena due minuti del vostro tempo, in cui tenterò di dissipare ogni pregiudizio attraverso una manciata di righe e, se sarò stata abbastanza convincente, di invogliare quanti più di voi a dargli una piccola chance.
La vicenda, che si sviluppa tra gli ambienti più altolocati della Roma di fine Ottocento, si apre nell’appartamento dell’esteta Andrea Sperelli, un uomo colto il cui mantra era “bisogna fare la propria vita, come si fa un’opera d’arte”, nel momento in cui sta per ricevere l’antica amante Elena Muti, nel luogo ancora pregno del suo ricordo e del loro amore bruciante ormai da tempo bruscamente interrotto. Questa donna infatti alcuni mesi prima lo aveva improvvisamente abbandonato per sposare un Lord inglese, ed ora che è tornata finisce di spezzare il cuore del giovane esteta incontrandolo solo per dirgli che non sarà mai sua. Dopo il terribile smacco subìto, Andrea perde totalmente la padronanza di sé e si abbandona ai piaceri mondani, alle relazioni senza importanza, alla ricerca del possesso di qualsiasi donna che abbia dentro di sé un qualunque dettaglio, che può essere un movimento, il timbro della voce, il profumo, il modo di sorridere che gli ricordi la sua Elena, con cui consumare un amore fugace e puramente passionale. È proprio durante un duello tra Andrea e l’amante di Donna Ippolita Albonico che egli rimane gravemente ferito, e trascorre la sua convalescenza tra gli splendidi roseti e l’aria salubre della maestosa villa al mare della cugina, Francesca D’Ateleta, nota per la squisita eleganza dei suoi numerosi ricevimenti.
È questo il luogo in cui nel cuore di Andrea Sperelli avviene un nuovo, importante stravolgimento: egli conosce e si innamora perdutamente della bellissima e casta Maria Ferres, in cui sembra vivere una sorta di Elena reincarnata. I tentativi di resistere alle avances dell’affascinante giovane da parte della nobile –dal momento che costei era sposata e madre di una bambina, per giunta- hanno un effetto pari a quello dell’aggiungere benzina al fuoco, in quanto alimentano la brama di Andrea di fare sua questa donna così pura ed attraente. Come viene sapientemente descritto in forma di diario personale di Maria, lo Sperelli ha un fascino troppo irresistibile per la nobile, che dopo tormenti sempre maggiori e vani tentativi di reprimere il sentimento turbinante dentro di sé, finisce per capitolare e confessare il proprio amore. Poco dopo questa rivelazione, il giovane dongiovanni torna nella sua bella dimora romana, alla solita, vecchia vita di feste e frivolezze.
Ma, con suo grande rammarico, lo Sperelli si rende conto di non essere più lo stesso di prima: la superficialità, i piaceri mondani, tutto ciò a cui per lungo tempo si era aggrappato per ricevere sicurezza ed appagamento, ora suscitano in lui solo un grande senso di vuoto, di vanità, di amarezza, un turbinio di sentimenti che si fanno ancor più roventi quando tenta di portare avanti una sorta di “doppiogioco amoroso”, attirando tra le sue spire Maria Ferres e tentando di riconquistare l’Elena Muti mai dimenticata, che lo provoca e lo stuzzica a mo’ di gatto col topo, fino a gettarlo via una volta stancatasi di lui.
Approdiamo ora alla fase finale del libro, in cui per il protagonista giunge il momento di chiudere i giochi: Elena lo ha respinto duramente, e la buona Maria deve dirgli addio, in quanto lascerà la città il giorno successivo per via di un increscioso scandalo di cui è responsabile suo marito. Nel momento di concedersi a lui un’ultima volta e di giurargli fedeltà eterna, Andrea commette un grave errore, così fatale da distruggere completamente in un istante l’intero castello di carte minuziosamente costruito con tempo, adulazioni, bugie e sotterfugi: chiama involontariamente Maria con il nome di Elena. Non la rivedrà mai più, e di lei non gli rimarrà altro che un armadio comprato all’asta, ed un opprimente senso di perdita.
Perché consigliarlo. Intrigante, intenso e raffinato: già questi elementi sarebbero più che sufficienti a fare del Piacere di D’Annunzio un’opera irrinunciabile nel nostro bagaglio culturale; se uniamo a tutto questo l’accurata psicologia che l’autore ha usato come chiave di volta ad animare i pensieri, l’inconscio e le azioni dei personaggi, non più mere pedine di un gioco ordito da un uomo con una bella penna ma vere e proprie copie di persone reali e dei meccanismi che regolano la vita degli uomini, è ancor più facile apprezzare la grandezza di questo libro.
Per chi consigliarlo. In quest’opera ce n’è davvero per tutti i gusti: dall’amante dell’antico, a chi invece apprezza di più gli intrighi, l’inganno, la teatralità di certi gesti, e ancora a chiunque durante una lezione di letteratura sia rimasto affascinato dai toni caratteristici del Decadentismo italiano, della Roma più altolocata e colta, e persino all’appassionato di romanzi rosa. Se anche voi vi siete rispecchiati in almeno una di queste categorie di lettori, allora Il Piacere è assolutamente il libro che fa per voi, e non ne rimarrete affatto delusi.
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