A lavorare per rispondere al quesito ci ha pensato un gruppo di studiosi in collaborazione con Università La Sapienza e Università di Bologna. Le cavie? Un gruppo di individui affetti da narcolessia, la famosa ‘malattia del sonno’.
Queste persone, infatti, rappresentano un ottimo modello per lo studio dei sogni, in particolare quelle affette dalla narcolessia di tipo 1 (detta anche con cataplessia), una condizione invalidante provocata dalla riduzione dell’attività del neurotrasmettitore ipocretina-1, fondamentale nella regolazione del ritmo sonno-veglia.
Come spiega Luigi De Gennaro della Sapienza:
Le peculiarità del sonno dei pazienti con narcolessia hanno permesso di chiarire, una volta per tutte, che l’esperienza del sogno non è limitata alla sola fase REM, ma si presenta con caratteristiche in massima parte sovrapponibili anche nella fasi Non-REM del sonno.
Questa ipotesi ha trovato terreno fertile nell’esperimento che è stato realizzato con un campione di 238 pazienti, di cui 43 affetti da narcolessia di tipo 1, presso il Dipartimento di Scienze biomediche e neuromotorie dell’Università di Bologna: una volta sottoposti al Multiple Sleep Latency Test (MSLT), ossia il test standard per la valutazione dell’eccessiva sonnolenza, gli scienziati hanno potuto comprendere le articolazioni di base dell’esperienza onirica e, di conseguenza, la ragione per cui a volte è più semplice ricordare i sogni.
Al termine dei 5 sonnellini programmati nel corso della giornata, è stata valutata la presenza di sogni, in seguito posta in relazione con l’attività elettrica cerebrale registrata nei minuti antecedenti il risveglio dei soggetti. Gli studiosi hanno così potuto avere un riscontro di come i ripetuti attacchi di sonno fossero caratterizzati da un’esperienza onirica, ma anche da un esordio direttamente in fase REM (qui spiegata meglio). Da ciò è stato possibile dedurre qualcosa di nuovo: alla base del ricordo del sogno vi è un meccanismo fisiologico, il livello di attivazione elettrofisiologica. Ne deriva la conclusione che è più facile ricordare i sogni in presenza di un elevato ritmo di attivazione della corteccia cerebrale.
Questa scoperta offre interessanti implicazioni nel campo ancora poco esplorato dello studio dei meccanismi del sogno e delle patologie ad esso strettamente correlate, una tra tutte il sonniloquio, che potrebbe rappresentare un accesso diretto alla sfuggente esperienza onirica.
In attesa che gli scienziati di oggi e di domani approfondiscano queste tematiche, se desiderate rifarvi al pensiero di un grande del passato, vi rimandiamo al nostro articolo dedicato ai sogni spiegati da Freud.
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