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Samantha Cristoforetti, o come amiamo chiamarla, AstroSamantha, è tornata nello spazio. In molti vorrebbero trovarsi al suo posto, in particolare le donne, che sono, forse, più determinate a raggiungere degli obiettivi lavorativi diversi da quelli attuali.
Il percorso della nostra astronauta è stato e lo è ancora, difficile, certo, ma pieno di soddisfazioni. E’ tornato nello spazio per trascorrere sei mesi all’interno della Stazione Spaziale Internazionale. Donna, moglie, madre, lavoratrice, non è un ordine prioritario, ma solo i compiti che la donna svolge. È bastata però una sua affermazione per scatenare il caos sui social.
All’inopportuna domanda, perché non è stata mai posta ad un uomo, “chi si sarebbe occupato dei figli”, lei ha risposto, per nulla intimorita o scandalizzata da questa decisione, che a loro avrebbe pensato il papà.
Nella società moderna si è lavorato per una distribuzione dei ruoli non ben definiti, quanto di necessità. Figli, pulizie, impegni, hanno trovato il giusto equilibrio all’interno del ménage familiare, secondo fattori legati al tempo libero, al lavoro e alle aspirazioni. La Cristoforetti non ne è esente, anzi rappresenta un modello che supera tutti gli stereotipi di genere.
Eppure il web si è scatenato contro la mamma che abbandona i figli per il lavoro. Insomma una polemica sterile, dettata dalla poca accettazione di un modello familiare che in Italia ancora fatica a emergere ovunque. La tranquillità della Cristoforetti sarà nata dal fatto che vive a Colonia, in Germania, socialmente con idee più libere e parità di genere più alta. Eppure anche in Italia sono tanti i papà che si occupano della famiglia, che si dedicano con particolare attenzione alla crescita dei figli, lasciando alle mogli o compagne, la possibilità di seguire lavori più impegnativi.
Prescindendo dal fatto che ogni lavoro ha la sua valenza sociale ed economica, che nessuno può essere discriminato per il tipo di lavoro che svolge, nel guadagno economico in particolare e nella considerazione che non esista un lavoro prettamente maschile o femminile, ognuno deve sentirsi libero di esprimere il proprio talento o la propria aspirazione.
Di pregiudizi ce ne sono e molti, come in molti dimenticano che anche i papà sono parte fondamentale della vita familiare, visti come supereroi, miti, esempi di vita da seguire, imitare. Attenzione!, papà, non mammo, come erroneamente si raccontava vent’anni fa, quando questo modo di essere parte integrante della famiglia, era ancor di più mal visto e senza giustificazioni.
Di papà che abbracciano, che si dedicano con amore ai loro figli, che li seguono con passione ce ne sono molti. Che siano single, divorziati, o mariti felici. Un po’ come sta facendo da qualche anno il community blog Bar papà, ideato dall’improvvisatore Patrizio Cossa attraverso il quale si tende ad eliminare lo stereotipo di genere, in particolare di quel “mammo” che ha sempre confuso e pregiudicato la figura dei papà.
Mi capita di leggere qualche articolo che pubblicano questi papà “intraprendenti” che, in realtà, svolgono il proprio ruolo genitoriale. Racconti di vita nei quali si confrontano fra loro, con i figli, con la famiglia, con la società. Ci sono piccoli episodi in cui essi stessi si confidano perplessità, emozioni e pensieri che attanagliano la loro vita.
Perché confrontarsi con i figli è già una lunga battaglia. Ci sono le generazioni a confronto. Ci sono le difficoltà a lasciarli liberi di sbagliare, o a lasciargli vivere la loro vita che si contrappongono all’essere genitore di un figlio piccolo che per anni ha sempre avuto bisogno del sostegno di un adulto. Storie di papà che sembrano racconti straordinari, eppure dovrebbero essere e sono, racconti di ordinaria vita familiare in un’equilibrata compartecipazione dei compiti.
I papà sono così, non si differiscono dalle mamme, se non per aspetti fisici, certo, non allattano al seno, ma possono farlo utilizzando un biberon. Per il resto non c’è alcuna differenziazione tra i ruoli, se non nel vecchio concetto di famiglia patriarcale che tende a resistere nella nostra società.
I preconcetti però possono cambiare grazie agli insegnamenti che si danno ai bambini sin da piccoli. Cambiare il modo di pensare è necessario per poter abbattere le barriere invisibili ma spesso insormontabili della discriminazione e quella di genere resta un ostacolo molto duro con il quale confrontarsi.
Nel mondo, ma anche nella nostra bella Italia, di esempi di donne che dedicano maggior tempo al lavoro e meno alla famiglia, ce ne sono e non sempre sono identificate come cattive madri, se non da qualche malpensante. Al contrario i papà che si dedicano alla famiglia vengono visti come persone deboli, non capaci di emergere nel lavoro, cosa del tutto inesatta. Basta dare un’occhiata ai tanti gruppi, blog, pagine che riuniscono i papà, per capire quanto il pensiero si stia modificando. E quanto si differenzia dall’ormai antico concetto di famiglia.
Non bisogna andare a ricercare figure lontane dal nostro quotidiano, per scoprire che dietro ad una donna lavoratrice, o dietro ad ogni papà, qualsiasi situazione familiare abbia, single o in coppia, ci può essere un papà attento e premuroso, che divide i compiti quotidiani con l’altro genitore o da solo. E sovente mi piace ripetere che “non è importante la quantità del tempo che si trascorre insieme, quanto la qualità”, una massima che possiamo affiancare a più relazioni e in particolare a quelle con i propri figli.
Written by: Teresa Corrado
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