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Oggi, 19 gennaio, nasce a Palermo un uomo che per la sua integrità e il suo operato è celebrato tra i grandi della storia della Repubblica: Paolo Borsellino.
Noi di voicebookradio.com abbiamo deciso di rendere omaggio al giudice, prendendo spunto da una recente notizia che viene dall’estero.
Negli scorsi mesi ha fatto scalpore una storia che arriva da Francoforte sul Meno. Un imprenditore tedesco apre lì una pizzeria “italiana”. Noi italiani siamo famosi in tutto il mondo per tante meraviglie: la pizza, nostro vanto, ma anche per cose negative, come la mafia, nostra involontaria vergogna.
Entrambe riscuotono un certo appeal sul pubblico, e per questo il ristoratore decide di unire le due cose con un “colpo di genio” che però gli si ritorce contro.
Arreda il nuovo locale con immagini di famosi boss, veri, presunti, fittizi. Un’immagine di Marlon Brando ne Il Padrino, spicca su tutte, tranne che su una. Se si segue lo sguardo tra le pareti costellate da finti buchi di proiettile, risalta una foto di due uomini sorridenti, che danno il nome al locale: Falcone e Borsellino.
Se si digita “Mafia” su qualsiasi motore di ricerca, è certo che vengano fuori foto di Falcone e Borsellino. Se è scusabile la sicura superficialità di un ristoratore che vuole fare un locale a tema, non lo è altrettanto quella di un giudice tedesco, che respinge il ricorso della professoressa Maria Falcone, sorella del giudice assassinato.
Parafrasando la sentenza: sono passati quasi 30 anni dalla morte dei due giudici e il tema della lotta alla mafia non è più così sentito tra i cittadini. Soprattutto per il fatto che i giudici hanno operato in Italia, noti solo a una ristretta cerchia di addetti ai lavori e quindi sconosciuti alla popolazione che comunemente frequenta la pizzeria.
I social e le varie associazioni, si sono scatenati e il giudice tedesco, il locale e l’ignaro ristoratore si sono ritrovati nella bufera mediatica. Tra le tante motivazioni di indignazione – leggerezza, scarsa sensibilità, fredda burocrazia – una la possiamo certamente combattere.
E si combatte parlandone. Perché Borsellino è stato importante.
Nella sua vita c’è un prima e dopo Capaci, la strage dove ha trovato la morte il suo collega e amico fraterno Giovanni Falcone, fin dai tempi delle partite a palla nel difficile quartiere della Kalsa, a Palermo. Lo ritrova nel lavoro alla Procura della Repubblica, dove è il più giovane magistrato di Italia. Nel 1980 la dichiarazione di guerra alla Mafia, con la formazione del famoso “pool antimafia”.
Grazie alle loro indagini la giustizia scopre contro “chi” sta combattendo. Fino a quel momento non si sapeva nemmeno come era fatta la Mafia. Inchieste che hanno portato al “Maxi processo” contro 475 indagati, il più grande processo della storia. Tanti successi, ma lastricati di sacrifici, umani e professionali. In quegli anni di vera guerra, in una Palermo di piombo, vede i suoi amici e collaboratori cadere uno dopo l’altro, per anni. Ma resiste in nome di un’integrità e una vocazione alla giustizia degna di pochi altri e una forza morale fuori dal comune per sostenerla. Fino al 23 maggio 1992.
Sulla strada che conduce a Palermo dall’aeroporto di Punta Raisi, una bomba fa saltare in aria l’auto dove si trovava Giovanni Falcone. Muore poco dopo in ospedale proprio tra le braccia dell’amico.
Borsellino vede per la prima volta il buio in fondo al tunnel. Non la luce. Un momento di debolezza che gli fa ricordare dell’amico commissario Ninni Cassarà “siamo tutti cadaveri che camminano” ma subito dopo in una conferenza in ricordo di Falcone afferma: “oggi devo ricordare a tutti voi e a me stesso, che sono un magistrato”.
Con tutto ciò che comporta. La guerra non è finita. Non ancora, almeno per 57 giorni. Da condannato a morte, con la consapevolezza di essere il prossimo della lista, che lo Stato non sapeva e non poteva proteggerlo, Borsellino continua la lotta, non solo sua, ma di tutti quelli che con lui hanno sacrificato la vita in nome della giustizia e della legalità. La famiglia, gli amici, i colleghi, gli uomini e donne della scorta. L’impossibilità di proteggerli.
Questi pensieri conducono i passi di Paolo Borsellino per tutti quei 57 giorni. 57 passi che portano fino a via D’Amelio a Palermo, il 19 luglio 1992. Quando una Fiat 126 imbottita di esplosivo fa di un Eroe dello Stato un Martire.
Il ricorso rifiutato dal giudice tedesco è accettato dal buon ristoratore. Ha tolto la foto e cambiato il nome al locale. Per fortuna a volte il buon senso trionfa sull’ignoranza.
Written by: Andrea Famà
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