Young ASCOLTA LA DIRETTA
Deep
Relax
Passion
Soundtrack da ascoltare durante la lettura: “Shine On You Crazy Diamond” – Pink Floyd
Il Dadaismo, il movimento innovatore dei primi anni del Novecento. Parole confuse, forme irregolari, oggetti inutili. È questa l’arte?
È arte ma non lo è, cos’è? Dadaismo. Significa due volte sì in tedesco, due volte questo in russo. Dada vuol dire tutto, perché se solo lo volesse potrebbe essere tutto. Dada è niente perché nessuno può definirlo, tranne chi l’ha creata.
“C’è qualcuno che ha detto: Dada è buono perché è cattivo; Dada è cattivo, Dada è religione, Dada è poesia, Dada è Spirito (…) definizioni, definizioni, ecco perchè creperete tutti, e voi creperete, ve lo giuro.” – Manifesto del Dadaismo, Tristan Tzara
Ci troviamo allo scoppio della Prima Guerra Mondiale e, nel clima di ansia, incertezza e contraddizioni, la Svizzera, estranea al conflitto, si presta da terreno fertile per artisti e intellettuali. Nel 1916, Tristan Tzara e Hugo Ball inaugurano il Cabaret Voltaire, sulla falsariga delle serate futuriste, in cui però – piuttosto che le risse – si recitavano versi sconclusionati, accavallati, in tedesco e in vesti eccentriche.
Voltaire, d’altronde, non è un nome pescato alla cieca dal sacchetto delle idee: fa riferimento al filosofo illuminista. Una grande presa in giro, un po’ per dire “dov’è il lume della ragione in mezzo a questa follia della violenza?” Così, nel 1918, Tristan Tzara stende il Manifesto del Dadaismo, in cui sintetizza e traduce a parole il significato insignificante del nuovo movimento: la violenza della follia.
Non ci sarà alcun argomento, alcun soggetto, alcun canone o bello. L’artista sarà, se lo vorrà, l’unico a dichiararsi tale. Nichilisti diremo. Ma non come i futuristi, che consideravano necessaria la distruzione dei valori e delle tradizioni per la fondazione di nuovi. Erano piuttosto, nichilisti passivi, desideravano bruciare la storia e condannare il progresso, perché proprio loro avevano condotto l’uomo sull’orlo dell’estinzione.
Di fronte ad un’opera dadaista, sono due i fattori da tenere in conto. La defunzionalizzazione, cioè rendere un oggetto utile estraneo al suo scopo, e la decontestualizzazione, cioè metterlo in un ambiente non proprio, tipo un museo. Il titolo solitamente non rappresenta anch’esso nulla e, anzi, a volte è contraddittorio.
Ma che importa? Non vogliamo essere accademici, non abbiamo bisogno di alcun critico, né tanto meno di comunicare qualcosa. Anzi, qualcosa si. Lo scandalo, il no-sense. Il coraggio di esporre al centro di un’esposizione un orinatoio rovesciato e chiamarlo, Fontana. L’irragionevole dietro una ruota su una sedia, o un ferro da stiro con i chiodi. Cadeau, Regalo. La libertà di sovrapporre figure irregolari e colorate, caotiche e sconclusionate, e chiamarlo Ritratto di Tristan Tzara.
Mi va e sono io che decido. Sono io che mi chiamo artista. Sono io che mi chiamo Da-da-da-dadaista. Punto. Punto. Conclusione.
Written by: Laura Cervelli
Tempo di lettura 2 minuti
© 2023 voicebookradio.com Cod.Fiscale 97824430157 - P.Iva 10494570962 - Licenza SIAE n.6671 - anno 2023
Post comments (0)