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Officina dell’arte: Dadaismo, i vuoti dei pieni

today16 Febbraio 2023

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Soundtrack da ascoltare durante la lettura: “Shine On You Crazy Diamond” – Pink Floyd

Il Dadaismo, il movimento innovatore dei primi anni del Novecento. Parole confuse, forme irregolari, oggetti inutili. È questa l’arte?

 È arte ma non lo è, cos’è? Dadaismo. Significa due volte in tedesco, due volte questo in russo. Dada vuol dire tutto, perché se solo lo volesse potrebbe essere tutto. Dada è niente perché nessuno può definirlo, tranne chi l’ha creata.

“C’è qualcuno che ha detto: Dada è buono perché è cattivo; Dada è cattivo, Dada è religione, Dada è poesia, Dada è Spirito (…) definizioni, definizioni, ecco perchè creperete tutti, e voi creperete, ve lo giuro.” – Manifesto del Dadaismo, Tristan Tzara

Ritratto del Dada

dadaismo

Ci troviamo allo scoppio della Prima Guerra Mondiale e, nel clima di ansia, incertezza e contraddizioni, la Svizzera, estranea al conflitto, si presta da terreno fertile per artisti e intellettuali. Nel 1916, Tristan Tzara e Hugo Ball inaugurano il Cabaret Voltaire, sulla falsariga delle serate futuriste, in cui però – piuttosto che le risse – si recitavano versi sconclusionati, accavallati, in tedesco e in vesti eccentriche.

Voltaire, d’altronde, non è un nome pescato alla cieca dal sacchetto delle idee: fa riferimento al filosofo illuminista. Una grande presa in giro, un po’ per dire “dov’è il lume della ragione in mezzo a questa follia della violenza?” Così, nel 1918, Tristan Tzara stende il Manifesto del Dadaismo, in cui sintetizza e traduce a parole il significato insignificante del nuovo movimento: la violenza della follia.

Non ci sarà alcun argomento, alcun soggetto, alcun canone o bello. L’artista sarà, se lo vorrà, l’unico a dichiararsi tale. Nichilisti diremo. Ma non come i futuristi, che consideravano necessaria la distruzione dei valori e delle tradizioni per la fondazione di nuovi. Erano piuttosto, nichilisti passivi, desideravano bruciare la storia e condannare il progresso, perché proprio loro avevano condotto l’uomo sull’orlo dell’estinzione.

Ritratto del vuoto

Fontana – Marcel Duchamp

Di fronte ad un’opera dadaista, sono due i fattori da tenere in conto. La defunzionalizzazione, cioè rendere un oggetto utile estraneo al suo scopo, e la decontestualizzazione, cioè metterlo in un ambiente non proprio, tipo un museo. Il titolo solitamente non rappresenta anch’esso nulla e, anzi, a volte è contraddittorio.

Ma che importa? Non vogliamo essere accademici, non abbiamo bisogno di alcun critico, né tanto meno di comunicare qualcosa. Anzi, qualcosa si. Lo scandalo, il no-sense. Il coraggio di esporre al centro di un’esposizione un orinatoio rovesciato e chiamarlo, Fontana. L’irragionevole dietro una ruota su una sedia, o un ferro da stiro con i chiodi. Cadeau, Regalo. La libertà di sovrapporre figure irregolari e colorate, caotiche e sconclusionate, e chiamarlo Ritratto di Tristan Tzara

Mi va e sono io che decido. Sono io che mi chiamo artista. Sono io che mi chiamo Da-da-da-dadaista. Punto. Punto. Conclusione.

Written by: Laura Cervelli

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