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Nel mondo di oggi c’è un assioma: nei paesi poveri si fanno tanti figli mentre nei paesi ricchi -come il nostro- è già tanto se si ha un figlio solo. Non è stato sempre così. Pensate solo allo stereotipo dell’italiano anni ‘30 che emigra negli USA con i suoi 300 pargoli sudati. Ma perchè le cose sono cambiate?
Fin dall’era di vassalli valvassini e valvassori, ci sono sempre state molte nascite perché, banalmente, ne morivano la metà e poi i contadini -aka 90% della popolazione- avevano bisogno di schiavi -meglio detti figli- a cui far lavorare la terra quando erano vecchi. Con la seconda rivoluzione industriale, però, la mortalità infantile crollò e venne introdotto il welfare. Questo vuol dire che nell’arco dell’ultimo secolo la popolazione è sestuplicata mentre il grafico è diventato di una pendenza non sciabile.
Dopo il “boom demografico” degli anni ‘60 la crescita iniziò a rallentare fino a raggiungere un periodo di “pareggio di bilancio” per tutti gli anni ‘80, ‘90 e ‘00. La crisi finanziaria del 2008 destabilizzò questo equilibrio, portando il tasso di fertilità -la media di figli per donna- sotto la soglia del ricambio generazionale -che è 2.1-. Da allora la popolazione italiana diminuisce sempre più velocemente che, come scopriremo dopo, non è una buona cosa.
Di sicuro la causa immediata di questo crollo è l’instabilità economica che ci portiamo avanti da allora, ma le cause profonde sono altre. La più importante è il cambiamento del ruolo della donna nella società. Si è passati da far, letteralmente, sposare le bambine che avevano avuto le prime mestruazioni, in modo tale da permettere loro di fare il massimo dei figli possibile, al fatto che l’età media dei matrimoni è schizzata sopra i 30 anni. Le donne non hanno più intenzione di rinunciare alla loro carriera per avere un figlio. In più, come accennavo prima, ci si sposa per amore e non perché si deve, quindi, per cercare la persona giusta si impiega molto più tempo. Per concludere, gli studiosi stanno osservando una vera e propria sex recession: stiamo materialmente facendo meno sesso.
Questa, però, pur essendo la causa, non è il problema: le conquiste sul terreno dell’autonomia femminile, a livello legislativo e non, sono fondanti per la nostra idea di civiltà. Anzi, si potrebbe dire che un calo di questo tipo è persino fisiologico con l’avanzare della società, tanto che si prevede che avverrà tra qualche anno anche nei paesi in grande crescita come India e Cina.
Al di là della lontanissima prospettiva dell’estinzione, che problema c’è con la denatalità? non avremmo solo più risorse se siamo di meno? Beh, il problema non è, infatti, dei lavoratori, ma degli anziani. Partiamo, però, dal capire come funziona il nostro sistema pensionistico.
Di base gli attuali lavoratori versano una parte delle loro tasse, detta contributi, per pagare la pensione dei loro nonni. Questo sistema ha funzionato fino ad adesso perché i lavoratori sono sempre stati più dei pensionati: se per ogni vegliardo c’erano 5 lavoratori, questi si sarebbero idealmente divisi il costo della vita di un individuo in 5, non dovendo pagare troppo, ma garantendo a lui una pensione decente. Nel 2050, però, si prevede che un terzo della popolazione sarà over 65. Questo vuol dire che, o le pensioni saranno da fame, o le tasse schizzeranno alle stelle. Diciamo che non è proprio l’ideale. Questo tir è troppo vicino per poter essere schivato, quindi dobbiamo prepararci alla prima ipotesi. Il punto cruciale è che, come tutti i problemi che si proiettano nel futuro, questo non colpirà tanto nonna, quanto noi. Probabilmente, quando sarà il nostro turno di sederci sulla sedia a dondolo, le pensioni saranno ridicolmente basse, quindi, non dico che sia grave quanto il cambiamento climatico, perché in questo caso non ci portiamo giù l’intero pianeta, ma è comunque una cosa di cui la nostra generazione si dovrebbe preoccupare di più.
Scritto da: Flavio Gentile
Written by: Aurora Vendittelli
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