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Soundtrack da ascoltare durante la lettura: “Maggese” – Cesare Cremonini
In che senso “musica da indossare”? Da oggi inizieremo un viaggio musicale un po’ particolare. Si, perchè sarà capitato anche a voi di imbattervi in qualche strofa che raccontava di “una maglietta fina” oppure un paio di “jeans al posto di una divisa”. O ancora di “stivali fatti apposta per camminare”. Insomma, anche i capi d’abbigliamento si sono ritagliati nel tempo il loro spazio speciale all’interno di qualche canzone.
Oggi è la volta di un capo che, proprio in questi giorni, stiamo riponendo con cura nell’armadio grazie all’arrivo della primavera. Però riporlo non significa dimenticare il calore che ci ha regalato durante l’inverno. Sto parlando del cappotto. Luogo di rifugio di tanti pensieri, nido che ci stringiamo addosso per ripararci dal freddo. Che non passerà mai di moda, neppure con lo smodato utilizzo di piumini e trench di ogni tipo.
“Io ti penso raramente, te lo dico veramente. È bastato star dentro in un altro cappotto per capire che in fondo avrei rotto, avrei rotto”.
Ma il cappotto, a prescindere, è qualcosa che ci veste. E diventa metafora in alcuni brani in cui raffigura una pelle nuova. Altra da tutto il resto. Lontana, ma che pur sempre genera quel minimo di calore che ci illude…
“Ottobre, oggi è arrivato ottobre, col suo cappotto nero. E piove sulle finestre dove milioni di persone sole vanno avanti e indietro, in cerca del presente. Cercando una risposta a questo cielo a specchio di novembre”.
Per il Cesare nazionale il cappotto è un colore scuro, è un mantello freddo che porta pioggia e vento. E’ una copertura, la finitura di stati d’animo che si susseguono come la stagioni. E diventa uno schermo contro tutto il resto. Basta alzare il bavero e infilare le mani nelle tasche profonde per nascondersi completamente e non farsi più trovare. Almeno fino a primavera!
“Senza amore nelle nostre anime e niente soldi nei nostri cappotti. Non puoi dire che siamo soddisfatti”.
Parlavamo di tasche profonde, ma quante volte è capitato al vostro cappotto, che si scucisse la fodera interna? E abbiamo perso chiavi, soldi, biglietti e qualiasi tipo di piccolo oggetto che portavamo con noi. Il brano storico degli Stones punta una piccola luce su uno stato di povertà e di smarrimento che cioglieva le briglie a due amanti. Nonostante l’inquietudine e la precarietà mancava anche l’amore…
“C’erano stracci di molti colori, ma ogni pezzo era piccolo. E non avevo un cappotto ed era molto freddo in autunno. La mamma ha cucito insieme gli stracci. Cucendo ogni pezzo con amore ha fatto il mio cappotto di molti colori”.
Poi c’è chi un cappotto proprio non se lo può permettere. Storie di tempi lontani, perchè ormai ce l’hanno tutti. Storia dal sapore distante, ma ricolmo d’amore. Nella voce della regina assoluta del country si avverte tutta la tenerzza di un capo d’abbigliamento che diventa un messaggio universale. Un abbraccio che dona calore al di là di ogni possibilità. Stoffa che diventa coccola pura.
Stringersi un cappotto ci fa sentire al sicuro, respinge anche i pensieri esterni. E’ un piccolo scudo che, anche attraverso le canzoni, si materializza sulla pelle e nelle orecchie.
Ma il nostro viaggio non finisce qui. Restate collegati per
Written by: Valentina Proietto Scipioni
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