Durante la lettura si consiglia l’ascolto del brano: “1/1: Brian Eno”
Il 21 Novembre 1969, esattamente cinquant’anni fa, l’umanità assisteva ad un avvenimento che avrebbe segnato un’epoca, contribuendo nella maniera più significativa di sempre ad azzerare gli spazi e i tempi che intercorrono del mondo: in questo esatto giorno di mezzo secolo fa, la rete di dati denominata ARPANET attivava il suo primo collegamento fisso, stabilendo una connessione duratura tra i computer situati rispettivamente all’Università di Los Angeles e allo Stanford Research Institute.
Espressione acronimica di “Advanced Research Projects Agency NETwork” (in italiano “Rete dell’Agenzia per i Progetti di Ricerca Avanzati”), ARPANET fu il padre dell’odierno migliore amico dell’uomo: quello che successivamente si sarebbe chiamato Internet. Questa rete di computer, frutto degli studi e dell’ingegno dell’agenzia del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti responsabile per lo sviluppo (DARPA), era stato inizialmente pensato – come è facile immaginare – per scopi militari.
Ma le potenzialità di questo sistema erano troppo grandi per pensare di contenerle all’interno di un settore così limitato ed esclusivo, e ben presto l’intera umanità se ne accorse, la rete venne progressivamente implementata in ogni continente e alla soglia del nuovo millennio sempre più persone, dagli studiosi per arrivare ai privati cittadini, aprirono questa nuova porta, che mai più sarebbe stata richiusa.
Ed ora che questo impensabile sistema di comunicazione e mastodontico flusso di dati giunge alla veneranda età di cinquant’anni, viene da domandarsi: continuiamo ad utilizzarlo così come era stato inizialmente pensato, ossia per azzerare i confini e le distanze, aprirsi al mondo, condividere conoscenza, oppure siamo sempre più indirizzati verso un moderno innalzamento di nuove barriere invisibili, che vanno ben oltre il discorso social network?
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