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Soundtrack da ascoltare durante la lettura: “Empty Chairs at Empty Tables” – Les Misérables
Capita a volte di tornare indietro sui propri passi e cambiare idea. È una tragedia per chi è testardo, ma sbagliare è umano. Film che prima si consideravano ottimi, se non capolavori, escono brutalmente ridimensionati e diventano solo buoni. Les Misérables, adattamento del celebre musical -e libro-, è uno di questi. Osannato dalla critica per la sua cinematografia e per le interpretazioni di alcuni attori -Anne Hathaway su tutti-, in realtà è un film che presenta numerosi problemi nel comparto musicale. Piuttosto ironico se si considera la quantità di statuette guadagnate.
Les Misérables si concentra sulle vicende di Jean Valjean, prigioniero condannato ai lavori forzati per aver rubato un tozzo di pane, che viene rilasciato da Javert. Otto anni dopo Jean è un uomo di successo, la cui storia si intreccia con quella di Fantine e sua figlia Cosette. Morta Fantine, Jean si occuperà della ragazza. Nove anni dopo la storia continua sullo sfondo della Rivoluzione francese, con l’amore tra Cosette e Marius.
La soundtrack in sé per sé è un’opera d’arte perché le canzoni sono meravigliose. In tutto il musical si intrecciano i leitmotiv dei personaggi costruiti in modo tale da essere riconoscibili. I leitmotiv non sono miscugli di suoni che l’ascoltatore sente una volta sola, ma son note che tornano più volte per rinforzare ciò che rappresentano nella storia. La Marcia Imperiale di Star Wars, ad esempio. In The Bishop la musica è usata per sottolineare la gentilezza del prete nei confronti di Jean Valjean. Empty Chairs at Empty Tables riprende le stesse note, ma c’è molta più malinconia: tutti gli amici di Marius sono morti nell’attacco, lui è l’unico sopravvissuto. La preghiera di misericordia del prete diventa la preghiera inascoltata di un uomo che ha perso tutto.
Ogni brano è pensato per suscitare emozioni forti: i personaggi mettono in gioco la vita per i loro ideali, che siano l’amore o la Rivoluzione francese. Sono canzoni difficili, potenti, che devono essere cantate bene. Eppure, fatta eccezione per alcune performance che si concentrano nella seconda metà del film, gli stessi protagonisti lasciano a desiderare. I Dreamed a Dream sarà stato per Hathaway il momento più alto della sua carriera, ma basterebbe chiudere gli occhi per rendersi conto che il suo modo di cantare è scorretto e pericoloso. Il pianto convulso della scena non la fa respirare nel modo corretto, per quanto sia realistico ed emozionante.
Tom Hooper, il regista, voleva che il film fosse vero. Ma un musical per definizione è un genere fittizio, anche se è tratto da un romanzo. Le persone nella vita vera non improvvisano canzoni e coreografie quando vogliono esprimere emozioni intense. Sarebbe stupido sulla carta. Eppure, i musical funzionano proprio perché, appena inizia un brano, spegniamo l’interruttore della logica. Hooper invece decise di far cantare gli attori mentre recitavano, una scelta che ha messo gli attori in una posizione scomoda. Il cast non ha mai nascosto in numerose interviste come fosse stato difficile l’esperimento perché nel set era difficile sentire la base. Basta un orecchio attento per notare come, in molte scene, gli attori sbagliano gli accenti e non riescono ad armonizzare perché cantano urlando e con un pianoforte che doveva restare isolato altrimenti rischiava di catturare tutti i rumori ambientali.
Sebbene il metodo di ripresa sia stato più che discutibile, Les Misérables in alcuni momenti funziona. La performance di Eddie Redmayne in Empty Chairs at Empty Tables ne è l’esempio: l’emozione della presa diretta c’è, ma è accompagnata da una buona esecuzione e da un set quasi vuoto.
Ma quando non ci sono gli attori a salvare scelte di regia discutibili, ottieni Cats. Guarda caso la firma del regista è la stessa.
Written by: Mariahelena Rodriguez
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