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Soundtrack da ascoltare durante la lettura: “Audition (the fools who dream” – La La Land
È l’edizione degli Oscar del 2017. Ogni anno decine di film si contendono l’ambita statuetta per salire all’olimpo dei film adorati da una manciata di critici anziani ben pagati. Negli anni la gente ha imparato a non ergerli a verità assoluta, anche al netto dei numerosi problemi della commissione, ma sono sempre un evento da seguire religiosamente. Sono come Sanremo, ma senza canzoni e per le vere cinture nere pronte a fare la nottata: il fuso orario non perdona. L’organizzazione procede liscia, alla fine dei giochi è un susseguirsi di presentatori, buste, nomi annunciati e consegne di statuette. Poi è la volta del premio per il miglior film, il momento più alto della serata. Cosa potrebbe andare storto?
I presentatori aprono la busta: a vincere il premio è La La Land. Festeggiamenti, abbracci, l’intero cast sale sul palco. Solo che c’è un errore. Le buste sono state invertite, a vincere il premio è Moonlight. Silenzio. Il film di Damien Chazelle si è comunque portato il resto delle statuette a casa, tutte meritate, anche se è ancora visto come una banale commedia romantica sopravvalutata. Ma La La Land è una piccola rivoluzione del genere, a partire dalla prima scena.
Una donna è bloccata del traffico di Los Angeles, ma non è arrabbiata, anzi. Inizia a cantare, esce dalla sua auto e balla. Tutti la seguono, vestiti alla perfezione, senza una macchia di sudore. Si crea uno spettacolo degno di un numero d’apertura di Broadway in cui non sono i protagonisti. Uno schiocco di dita e ci ritroviamo nella realtà. Mia e Sebastian non cantano, non ce ne sarebbe il motivo: entrambi hanno appuntamenti di lavoro, entrambi sono in ritardo. L’inganno è servito. La vita vera non si risolve con un numero musicale e La La Land lo sottolinea con una linea molto spessa.
La La Land è un film realistico mascherato da musical. Los Angeles si mostra nel suo splendore tra le luci della skyline e dei ponti in City of Stars, ma dietro i sogni ci sono gli inganni. Mia e Sebastian iniziano la loro scalata al successo tra meravigliose canzoni che via via diventano sempre meno. L’opera di Chazelle si colloca a metà: è un Balto ben riuscito che smonta sia musical che la commedia.
Here’s to the ones who dream
Foolish as they may seem
Here’s to the hearts that ache
Here’s to the mess we make
Nel secondo atto i colori diventano sempre più cupi, la musica più soffusa: tutto l’apporto cinematografico riflette le crisi dei protagonisti, diametralmente opposte ma simili. Quello che cambia è solo il modo in cui vengono mostrate. Mia scrive di suo pugno una sceneggiatura per mostrare al mondo le sue qualità di attrice, mentre Sebastian molla il suo sogno per il compromesso di suonare in una band pop. Non è quello che vuole, ma almeno ha stabilità economica. L’atmosfera sognante di City of Stars è solo un ricordo. Al suo posto, la solennità di Audition. I colori scompaiono, Mia si staglia su uno sfondo nero con la telecamera che stringe sempre di più l’inquadratura. Solo un piano spoglio accompagna la sua voce.
Non c’è la conquista della protagonista, non è un momento trionfante: è la forza e la dignità di una persona che nonostante tutto continua a sognare.
Written by: Mariahelena Rodriguez
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