Il 27 ottobre 2013 muore Lou Reed, padrino della new wave, tessitore di storie di ordinaria follia, tra decadentismo e beat generation.
La sua produzione si può comprendere seguendo tre direttive che si sono intrecciate sin da subito e che hanno dato alla sua musica un tratto unico e riconoscibile.
La prima è la scrittura del sé, tra gli ardenti desideri carichi di sensualità, maledettismo, e la dipendenza da droghe, che converge in una tensione distruttiva che percorrerà tutta la sua esistenza.
Personaggio baudelairiano, forgia insieme a John Cale, seconda direttiva, la musica in bordone per il quale la stessa nota o accordo vengono ripetuti, conferendo quella cupa ossessività alla musica che sembra dilatarsi sotto effetto dell’oppio. In questo quadro New York (terza direttiva), raccontata nei testi, rappresenta la sordida stamberga in cui i protagonisti in un’estetica possibilistica si muovono come parte nascosta della città e ne incarnano le sensazioni, rapsodia orizzontale dai ritmi infiniti dell’alienazione.
Martin Scorsese parla della duplicità dei testi di Reed: da una parte percepiti nell’ascolto e dall’altra nel testo stesso, che viene letto su un foglio stampato. I suoi testi danno voce agli ultimi e alla loro umanità al fine di elevarli dalla loro condizione calata in una New York de-mitizzata, che si rivela centrale alla comprensione del panorama sociale tutt’altro che roseo.
Le personalità che hanno segnato questa parabola di sperimentazione e reinvenzione sono state Andy Warhol a cui per la morte dedicherà Songs for Drella (1990) e David Bowie: uno durante la parentesi art rock dei Velvet Underground, l’altro come angelo custode dell’esordio da solista, che accompagna la rinascita di Reed in Transformer (1972), e lo vede spiccare il volo definitivo in Rock and Roll Animal. (1974).
La sua indole poetica nasce durante gli anni universitari con l’incontro di Delmore Schwartz, scrittore e poeta.
Per Reed sarà l’inizio della vocazione, che sfocia in una scrittura semplice e concisa, in grado suscitare emozioni nello sguardo lucido del rock sulla realtà.
Da album che sembrano tele come New York (1989), a The Raven, dedicato alla letteratura di Edgar Allan Poe, fino ai temi esistenziali di Magic and loss, in cui la morte e la vita si confondono senza più riuscire a capire quale sia il porto sicuro e quale l’incubo. L’arte e la letteratura si intrecciano e fungono da impalcatura estetica su cui si sorregge la sua musica, inquadrata costantemente su primi piani newyorkesi.
Nella magia, tra l’oscurità e la torbida vita, muoveva i passi Reed, evanescente illusionista che giocava a scomparire e a dimenticare il passato.
Di quella magia lo stupore si avverte ancora, ascoltando il mito della strada che tanto aveva saputo tessere.
It must be nice to disappear/to have a vanishing act/to always be looking forward/and never looking back
Vanishing Act, nell’album The Raven.
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