Durante la lettura si consiglia l’ascolto del brano: “Paganini – Caprice No. 24”
Altruismo, abnegazione. L’atto di aiutare l’altro, mettendolo, insieme ai suoi bisogni e necessità, davanti a sé. Qualità che noi riteniamo tipicamente umane, sviluppabili solo con la crescita personale e psicologica, attraverso cui si arriva a imparare il sacrificio individuale.
Ma un nuovo studio attuato dai ricercatori Rodolfo Barragan, Rechele Brooks e Andrew Meltzoff del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Washington a Seattle, sembra evidenziare la tendenza in soggetti di tenera età di mostrare distinti segni di altruismo, donando del cibo datogli loro perfino in condizioni indotte di appetito e per cui relativa scarsità di risorse. Infatti assumere questo comportamento di “trasferimento alimentare” è rischioso dal punto di vista evolutivo, poiché va direttamente a ledere il guadagno beneficiario e l’apporto calorico individuale.
In particolare, l’esperimento condotto di natura non verbale ha visto come soggetto un campione di bambini di 19 mesi, a cui donatogli del cibo appetibile (della frutta fresca come banane, uva, mirtilli, fragole) in un primo tempo in condizioni normali e in un secondo tempo in condizioni di leggera “fame“, hanno scelto la maggior parte delle volte la strada dell’empatia, condividendo spontaneamente la propria riserva senza la variabile di una futura ricompensa, portando alla conclusione che, probabilmente, abbiamo geneticamente sviluppato una sorta di meccanismo evolutivo tendente all’altruismo; forse causa del nostro successo come specie dato che l’essere umano basa la quasi totalità della sua forza nella cooperazione e relazione fra individui.
Che sia davvero iscritto nel nostro DNA l’alfabeto del donare senza remore, dell’andare contro il vantaggio di sopravvivenza a favore del bene fatto all’altro?
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