Soundtrack da ascoltare durante la lettura: ” Vengo dalla Luna” – Caparezza
Non lontano dal Duomo di Torino dove è conservata la Sacra Sindone, che preserva le fattezze del Cristo, è possibile ammirare, percorrendo solo pochi chilometri, il ritratto di un vecchio. La distanza contigua e la somiglianza del materiale, oltre che l’affluenza di turisti, ci fanno percepire l’importanza che ha avuto per noi questo vegliardo dalla barba lunga, dallo sguardo accigliato e, tuttavia, saggio.
Il vecchio, o meglio Vecius, è Lenoardo da Vinci. Figura enigmatica e controversa, che il Mondo degli ultimi quattro secoli ha elevato come ideale di artista. Ma l’uomo? Era, nonostante il suo genio fuori dal comune così lontano da noi? Noi di voicebookradio.com, in occasione dell’anniversario della sua morte, abbiamo voluto conoscerlo meglio, in un momento importante della sua vita. Una situazione che non è distante da quella che ognuno di noi potrebbe vivere proprio oggi.
Le Origini
Leonardo da Vinci, come qualsiasi altra persona che non provenisse da una ricca famiglia nobile, nel medioevo come oggi, aveva bisogno di lavorare. Una dimensione che Leonardo impara da bambino, quando il padre, ser Piero lo mette a bottega dal Verrocchio. “Tu, bastardo, figlio illegittimo, non erediterai la fortuna paterna”. Leonardo non ce l’aveva col padre per questo. Così andava il mondo, allora. Fortuna vuole, appunto che si è nell’Umanesimo, periodo in cui il motto “homo faber fortunae suae” andava per la maggiore.
A prescindere dai natali, un uomo poteva crearsi la sua fortuna. La Firenze di allora era un crogiuolo brulicante di idee, di ambizioni, di spinte. Ma la strada per Firenze, essendo la Nuova Atene e la premonitrice di Hollywood, era già abbastanza lastricata di coloro che non ce l’hanno fatta. Bisognava emergere in qualche modo.
La Bottega, la scuola, l’Univerità
Ed emergere in un mondo dove, per lavorare, tutti vogliono una cosa standard, ma tu ne sai fare un’altra è difficile.
A meno che tu non sia un genio.
E Leonardo quando entra a bottega dal Verrocchio genio non era. Neanche artista. Neanche uomo. Era un bambino. E come tutti i bambini sapeva, meglio degli artisti, sognare.
Andrea del Verrocchio dipinge un quadro raffigurante il Battesimo di Cristo. Battesimo lo è stato anche per Leonardo nell’arte. A quell’epoca usanza voleva che gli allievi di bottega dipingessero i paesaggi e le figure minori. Leggenda vuole che l’angelo dipinto da Leonardo fosse talmente bello da far giurare al maestro di non prendere mai più in mano il pennello e, per compensare, Leonardo avrebbe giurato che non avrebbe mai fatto una scultura, opera in cui il Verrocchio eccelleva.
Falsità.
La bottega è un’azienda, proprio come quelle moderne. Fatto sta, che finito il periodo di stage, Leonardo, senza un soldo, deve trovarsi un lavoro. Si, i lavoretti qua e là, sottopagati, spesso non pagati, servono a fare curriculum. Ricorda qualcosa. Poi arriva la grande occasione.
Il colloquio
A quarant’anni Leonardo si presenta presso la corte di Ludovico Il Moro, che all’epoca era il Direttore di una grande azienda chiamata Milano. Dopo un’ovvia anticamera durata giorni – ma solo perché non esistevano le e-mail, altrimenti sarebbero state settimane – arriva davanti alla scrivania del capo, che nemmeno aveva letto il suo C.V.
Lo legge sul momento.
“Le cose che sono in grado di fare sono elencate, anche se brevemente, qui di seguito (ma sono capace di fare molto di più, a seconda delle esigenze)”.
Le esigenze elencate sono tutti progetti bellici. Non ci sembra che il Verrocchio abbia insegnato ai suoi allievi fare bombarde o far esplodere ponti.
Il Moro, da buon capo che è fa ricerche personalmente. Sa bene chi è Leonardo. Sulla scia dell’architetto Brunelleschi, dello scultore Donatello, all’epoca del pittore Raffaello, del genio Michelangelo, Leonardo era, a detta dei suoi contemporanei, bravo ma semplicemente inconcludente.
Basti pensare che alcune commissioni che dovevano durare due o tre mesi Leonardo era capace di consegnarle dopo cinque anni.
“Se”, le consegnava.
Ultima cosa alla fine dell’elenco è dipingere. Leonardo è consapevole che la sua mano non segue la sua mente. Ma Ludovico e Leonardo sono due grandi che in quel momento sono uno di fronte all’altro e si stanno guardando negli occhi.
Ludovico ha visto qualcosa.
Eppure Ludovico assume Leonardo. Un creativo. Tecnicamente fallimentare in ogni cosa che tutti gli altri sapevano fare. Ludovico lo mette alla prova quasi subito.
L’ultima cena
Un affresco è stato inventato per durare quasi un’eternità. L’Ultima cena di Leonardo dura pochi anni, poi ha cominciato a sfaldarsi precocemente.
Incapacità tecnica o poca volontà? Chi può dirlo? L’affresco di fronte è di un autore dimenticato e contemporaneo che ancora resiste intatto. Ma nell’ultima cena il concetto era tutto lì. Il disegno, ciò che rende l’idea “grande”, c’è tutta. Semplicemente non è cura di Leonardo perderci più del tempo necessario a consegnare.
Leonardo vende un progetto, un concetto che ancora non esiste. Un esempio, La Gioconda? In mezzo al Salon des Italiens del Louvre, dove i colori dei dipinti di autori eccellenti inondano di luce i corridoi, centinaia di turisti sudati si accalcano a fotografare un francobollo scuro lastricato di plexiglass. Il meno bello di tutti.
Sono degli idioti? Non credo.
La Gioconda ha un merito, che anche chi non capisce nulla di arte comprende. Non è un ritratto. Quella persona non è reale, non esiste. Ancora. E’ un concetto che sarà lì per divenire, che gli altri apprenderanno, che prevarica quello che la mano di un singolo uomo del rinascimento può fare. Una visione.
Leonardo non sapeva come fabbricare un elicottero o un aereo, togliamocelo dalla mente.
Ma aveva un sogno. Il futuro. Ed è stato realizzato.
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