Un paziente che aveva avuto una grave forma di ictus parecchie settimane prima, siede accanto alla moglie mentre questa parla con la neurologa che lo sta visitando. Sebbene sulle prime sembrasse che l’ictus lo avesse reso totalmente cieco, la moglie afferma che, talvolta, è in grado di vedere cose; sperano, quindi, che la sua vita possa migliorare. La neurologa ben presto realizza che la moglie del paziente ha ragione. L’uomo mostra gravi problemi di vista, ma non è completamente cieco. Prendendo un pettine dalla tasca del camice, la dottoressa lo tiene bene in vista davanti al paziente e gli chiede. “Che cosa vede?”.
“Beh…, non sono sicuro” replica, “ma… oh… è un pettine, un pettinino da tasca”.
“Bene”, dice la dottoressa. Poi, tiene davanti al paziente un cucchiaino, ponendo la stessa domanda.
Dopo un momento il paziente risponde: “Vedo un cucchiaio”.
La dottoressa annuisce di nuovo, poi tiene davanti all’uomo sia il pettine sia il cucchiaino. “Che cosa vede ora?” chiede di nuovo.
“Penso… di vedere un cucchiaio” replica in modo esitante questi.
“Bene…” dice la neurologa mentre sovrappone, incrociandoli, il cucchiaio e il pettinino in modo tale che i due oggetti restino entrambi visibili nello stesso punto dello spazio. “Che cosa vede ora?” chiede di nuovo all’uomo. Stranamente, il paziente vede solo il pettinino. “E il cucchiaio?” chiede la dottoressa.
“No, nessun cucchiaio” dice il paziente, ma poi improvvisamente esclama: “Si, c’è, eccolo lì. Adesso lo vedo”.
“E cos’altro vede?”.
Scuotendo il capo, il paziente replica: “Nulla”.
“Non vede nient’altro, proprio niente?” chiede ancora la dottoressa, agitando vigorosamente proprio davanti al viso del paziente il cucchiaio e il pettine.
L’uomo guarda fisso davanti a sé, con uno sguardo molto intento, e infine dice: “Sì, sì, li vedo adesso. Vedo dei numeri”.
“Che cosa?!” esclama la dottoressa perplessa. “Numeri?”.
“Sì”, il paziente socchiude gli occhi, come se volesse sforzare la vista, e scuotendo leggermente la testa replica: “Sì, vedo dei numeri”. La dottoressa scopre, allora, che lo sguardo dell’uomo è diretto verso un punto lontano da lei e non verso gli oggetti che sta mostrando. Voltandosi per guardare alle proprie spalle vede un grande orologio sulla parete dietro si sé!
Anche se la dottoressa tiene entrambi gli oggetti in una mano davanti agli occhi del paziente mostrandoli contemporaneamente, sovrapposti nello spazio ma ben visibili in piena luce, l’uomo riesce a vedere solo un oggetto alla volta. Quell’oggetto può anche essere completamente diverso da quelli mostratigli: per esempio, quello che si trova semplicemente in direzione del suo sguardo, come l’orologio sulla parete. La neurologa diagnostica, quindi, al paziente la sindrome di Bálint, descritta per la prima volta alla fine del XIX secolo dal neurologo e psichiatra ungherese Rezsö Bálint. Questa consiste in un grave disturbo sia della consapevolezza sia dell’attenzione nella modalità visiva, causato da un danno bilaterale alle regioni posteriori della corteccia parietale e occipitale. Il risultato di questo disturbo dell’attenzione è che solo un oggetto, o un piccolo sottogruppo di oggetti, è percepito in ogni momento, localizzandolo erroneamente nello spazio. Il paziente può ‘vedere’ ciascuno degli oggetti presentati dalla dottoressa. Non è, però, in grado di vederli tutti assieme e non è in grado di descrivere accuratamente la loro posizione l’uno rispetto all’altro o relativamente a se stesso.
La sindrome di Bálint è un esempio estremo di patologia rispetto a ciò che noi tutti sperimentiamo quotidianamente: siamo, infatti, coscientemente consapevoli solamente di una quantità limitata di informazioni disponibile per i nostri sistemi sensoriali momento per momento. Esaminando con attenzione i pazienti affetti dalla sindrome di Bálint e le lesioni che la determinano, siamo stati in grado di apprendere maggiori conoscenze sul modo in cui, e su cosa, il nostro cervello focalizzi l’attenzione. Il problema nodale nello studio dell’attenzione è, infatti, in che modo il cervello sia in grado di selezionare alcune informazioni a detrimento di altre.
Sappiamo, a partire dalla nostra esperienza, di essere circondati da più informazioni di quante siamo in grado di manipolare e comprendere in ogni dato momento. Il sistema nervoso, quindi, deve prendere ‘decisioni’ su quali di esse elaborare. La nostra sopravvivenza può dipendere da quali stimoli vengano selezionati e in quale ordine venga a essi data priorità di elaborazione.
L’Attenzione Selettiva consiste nella capacità di dare priorità e prestare attenzione ad alcune cose, ignorandone altre. Cosa determina questa priorità? Molte cose. Per esempio, una strategia ottimale in molte situazioni consiste nel prestare attenzione a stimoli rilevanti per il comportamento e gli scopi contingenti. Ciò consiste in un controllo diretto da un fine (anche definito ‘controllo dall’alto verso il basso’) guidato dagli scopi comportamentali contingenti di un individuo e plasmato da priorità apprese basate sull’esperienza personale e su adattamenti evoluzionistici. Tuttavia, se udite una forte esplosione, anche se state prestando debitamente attenzione a questo articolo, sollevate di riflesso il capo e controllate. Ciò rappresenta un buon comportamento di sopravvivenza poiché un rumore forte può presagire un pericolo. La vostra reazione era guidata da uno stimolo ed è, quindi, denominato controllo ‘diretto dallo stimolo’, anche noto come controllo ‘dal basso verso l’alto’ o ‘controllo riflesso’, il quale è molto meno dipendente dagli scopi comportamentali contingenti.
L’attenzione ha catturato l’attenzione di William James, grande psicologo americano. Al termine del XIX secolo, infatti, fece una sagace osservazione:
Ognuno di noi sa che cos’è l’attenzione. L’attenzione è la mente che si impossessa, in modo chiaro e vivido, di uno solo tra quelli che ci appaiono come oggetti, o collegamenti di idee, tutti ugualmente possibili. La focalizzazione, la concentrazione della coscienza sono suoi aspetti essenziali. Essa comporta il ritrarsi della mente da alcune cose per poter operare su altre con grande efficienza; si tratta di una condizione che è l’esatto opposto di uno stato mentale confuso, stordito e svagato.
William James
Nelle osservazioni acute espresse in questo passaggio, James coglie le caratteristiche essenziali dei fenomeni attentivi che attualmente sono al centro dell’indagine scientifica.
Per quanto chiare e articolate fossero le affermazioni di James, al tempo in cui le scrisse si sapeva ben poco dei meccanismi comportamentali, computazionali o neurali. Da allora, la conoscenza sull’attenzione è fiorita e gli studiosi hanno identificato molteplici tipologie e livelli di comportamento attentivo. Per prima cosa, vediamo ora di distinguere l’attenzione selettiva dall’arousal. L’Arousal (o Attivazione) si riferisce allo stato fisiologico e comportamentale globale dell’organismo. Il nostro ‘livello di arousal’ rappresenta il punto sul continuum in cui ricadiamo progressivamente a partire dall’essere iperattivati (come durante un periodo di intensa paura) a moderatamente attivati (che deve descrivere il vostro stato di arousal contingente all’inizio della lettura dell’interessante soggetto dell’attenzione) sino, poi, allo stordimento (quando, per prima cosa, vi siete alzati stamane), il sonno leggero e, infine, il sonno profondo.
L’attenzione selettiva, d’altro canto, non è uno stato cerebrale globale. Al contrario, è come se, a un qualsiasi livello di arousal, l’attenzione venga allocata sugli input, sui pensieri e sulle azioni rilevanti, mentre, al tempo stesso, vengono ignorati quelli irrilevanti o distraenti. L’attenzione influenza il modo in cui le persone codificano gli input sensoriali, immagazzinano questa informazione in memoria, la elaborano a livello semantico (cioè, a livello del significato) e agiscono su di essa per sopravvivere in un mondo impegnativo e pieno di sfide.
I meccanismi che determinano dove e su cosa venga focalizzata la nostra attenzione sono definiti ‘meccanismi di controllo attentivo’. Essi comprendono reti cerebrali diffuse, ma altamente specifiche. Questi meccanismi di controllo attentivo definiscono specificamente gli stadi dell’elaborazione dell’informazione, cioè, come si dice, dove la ‘selezione’ degli input (o degli output) si verifica – da cui consegue la definizione di Attenzione Selettiva.
Di Andrea Valitutti
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