Il Tigri e l’Eufrate sono forse i due fiumi più menzionati dai ragazzi sin dalla più tenera età quando all’interrogazione di Storia arrancano in cerca di qualche dato da fornire alla maestra nell’introdurre le antiche civiltà mesopotamiche. Oggi, il Tigri torna sulla bocca di tutti, anche di chi la scuola l’ha già terminata da tempo, in quanto protagonista di una vicenda storicamente molto rilevante: dal ritiro delle acque di questo fertile corso d’acqua a seguito di un’importante siccità sono infatti emerse le rovine di un antico palazzo di appartenenza dell’Impero dei Mitanni.
La scoperta rappresenta una vera e propria chiave di volta nello studio di questa civiltà vissuta nell’età del Tardo Bronzo (1450-1350 a.C. circa), della quale ad oggi si sa ancora pochissimo a causa della scarsità di fonti originali finora riportate alla luce.
Ci sono voluti dieci anni di studi e di lavoro congiunto di un team di archeologi tedesco e curdo perché il sito di Kemune, così è stato denominato, venisse liberato dalla polvere dei millenni. Ed ora che le acque del Tigri sono in profonda secca, le rovine a testimonianza di questa antica civiltà sono finalmente sotto gli occhi di tutti.
In ottimo stato di conservazione, questo palazzo celava al suo interno degli straordinari dipinti e soprattutto delle tavolette d’argilla incise: due dettagli che ogni archeologo che si rispetti riterrebbe ben più preziosi di qualche pilastro scolpito nella roccia, in quanto cruciali per comprendere la lingua e la cultura di questa civiltà rimasta nell’ombra per troppo tempo.
Non a caso la scoperta viene salutata con queste parole da Hasan Ahmed Qasin, uno degli archeologi curdi che hanno partecipato al ritrovamento:
La scoperta è una delle più importanti della regione negli ultimi decenni.
Hasan Ahmed Qasim
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