Quella che stiamo per raccontarvi è una triste storia vera. Anzi, meglio riderci su: ricominciamo da capo.
Tra le righe di questo articolo leggerete l’esilarante e tutt’altro che conclusa vicenda che vede come personaggi ed interpreti un Presidente, una manciata di social network e, al centro di tutto ciò, della semplice pizza.
Conosciamo meglio la protagonista, oggetto dell’acceso dibattito che tutt’oggi non accenna a spegnersi: la pizza all’ananas, meglio nota come “pizza alla hawaiana”.
Questa nuova tipologia del piatto più famoso del mondo si compone dei seguenti ingredienti: il classico e mai deludente impasto tradizionale della pizza, un generoso condimento a base di pomodoro, mozzarella, ananas caramellato a pezzetti (o anche a spicchi), prosciutto cotto a cubetti e infine qualche foglia di basilico fresco. Pur essendo nata negli USA ormai più di qualche anno fa, è solo negli ultimi tempi che quest’invenzione culinaria è diventata l’argomento sulla bocca di tutti, l’oggetto di aspre critiche ed elaborate lodi, tanto da essere diventata un vero e proprio trend.
E, come ogni novità, tendenza o idea originale che si rispetti, anche la pizza alla hawaiana è caduta inesorabilmente preda dei social.
Ovunque ci si connettesse, sembrava un campo di battaglia: memes dal cinismo sempre più pungente che si moltiplicavano giorno dopo giorno , hashtags fantasiosi per contrassegnare fieramente lo schieramento pro o contro di chiunque postasse la propria opinione, talvolta persino sondaggi!
E guai, terribili guai a chi si fosse estraniato dal prendere una posizione in merito a questa così scandalosa pizza: in fondo, non c’è niente di peggio per un aggressivo membro della Società dei Social di una persona che non esponga delle succosissime idee da condividere cliccando il tasto “share” o da attaccare in una corsa contro il tempo a chi è più rapido a commentare.
Solo per dare voi una vaga idea della situazione senza dilungarsi troppo, ecco di seguito alcune più che eloquenti immagini tratte da vari social networks.
E adesso, veniamo alla notizia-chiave di tutta questa faccenda, che se potesse avere un titolo, sicuramente sarebbe “ananas-gate“. Presto scoprirete il perché.
Un giorno come tanti dell’appena trascorso Febbraio uno studente, ignaro di cosa avrebbe provocato con la sua innocente domanda, ha chiesto al Presidente dell’Islanda Guðni Jóhannesson in visita al suo liceo quale fosse la sua posizione in merito alla pizza alla hawaiana. La sua risposta?
Probabilmente molti sorrideranno divertiti nell’apprendere che “se potessi, la vieterei per legge!” è stato tutto ciò che il rappresentante della nazione ha avuto da dichiarare.
Nemmeno il tempo di concludere la frase, che migliaia di utenti si erano già attivati su Facebook, Twitter, Instagram e quant’altro, alcuni osannando il presidente islandese come “l’eroe di cui tutti abbiamo bisogno”, altri ribadendo a gran voce il diritto alla “pizza libera”.
È proprio nel mezzo di questo gran polverone che è nato il termine “ananas-gate”, riferito alla dichiarazione del Presidente.
La vicenda comunque sembra essersi acquietata, a seguito di un messaggio su Facebook scritto personalmente da Guðni Jóhannesson, in cui ha esordito affermando che non odia l’ananas, semplicemente non gli piace sulla pizza; dopodiché, a scanso di equivoci, ha puntualizzato di non avere il potere di vietare ad una nazione cosa mangiare, e che ne è lieto, in quanto nemmeno a lui piacerebbe vivere in un Paese dove ti impongono restrizioni sul cibo.
Insomma, tutto è bene quel che finisce bene, questa storia si è conclusa senza ulteriori disastri e sicuramente avrà anche strappato qualche risata, tuttavia…
A pensarci bene, essa offre anche uno spunto di riflessione: ciò che è avvenuto non è altro che l’ennesimo esempio di razzismo –se pur “culinario”-, che ha visto persino personaggi del calibro di un presidente offendere quello che, alla fine, piaccia o non piaccia, è solo un nuovo piatto.
Indubbiamente c’è chi, soprattutto tra noi compatrioti, ritiene la pizza alla hawaiana un insulto alla gloriosa tradizione italiana, una blasfemia gastronomica, un sacrilegio.
Ad un’analisi superficiale dei fatti verrebbe anche da condividere queste forti sentenze, perché sicuramente a primo impatto può risultare fastidioso vedersi “rubare” e “trasformare” un simile fiore all’occhiello della nostra cucina, ma la domanda che noi di voicebookradio.com vi poniamo è: perché nel XXI secolo ancora si fa fatica ad accettare il “diverso”, ciò che magari può non combaciare perfettamente con la propria idea di “bello”, in parole semplici mettendo in atto il detto “vivi e lascia vivere”?
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