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Soundtrack da ascoltare durante la lettura: “High Hopes” – Panic! At The Disco
È il periodo pasquale. – Sì, lo so, è un’affermazione da Capitan Ovvio in persona- Ma sapete cosa significa?
Significa nuotare nella cioccolata e venire sommersi da coniglietti tenerissimi, uova troppo colorate per chiunque e pastiere non appena si apre qualsiasi social.
Perché, in effetti, tutte le cose che ho sopra elencato sono i simboli della Pasqua. –L’equivalente dei regali e di babbo natale etc a Natale-.
E quindi ho fatto quattro chiacchiere con le mie disastrate personalità, chiedendomi se ci fossero dei simboli non legati a feste specifiche.
Spoiler -non spoiler se avete letto il titolo-: i simboli fortunati. Quelli sono una costante, insieme a quelli della sfortuna.
Quindi eccomi qui, a parlarvi dell’origine delle più iconiche personificazioni –o forse è il caso di dire “oggettificazioni”? (Sì, lo so che non esiste come parola. Ma io posso.)– della fortuna.
Avete presente quell’insetto rosso con i puntini neri sulle ali? Dai, quello che ha la propensione per affogarsi nelle piscine!
Sì, sto parlando della coccinella.
Che, per la cronaca – e per fare bella figura con il docente di latino– viene da “coccineus“, ovvero “scarlatto“.
Questo esserino è molto legato alla religione cristiana e con Maria, rappresentando sia le gioie che i dolori, oppure diventando semplice messaggero di felicità. Non è infatti un caso che in molte culture abbia un nome legato alla religione, ma anche in alcune parti d’Italia: ad esempio, in Toscana sono chiamate “marioline“.
Ad ogni modo, c’è un’altra leggenda legata a questo animaletto:
All’inizio di tutto gli esseri viventi non morivano e a stabilire l’equilibrio c’era un gigante gentile di nome Urunti. Un giorno si punse con le spine di una rosa e la sua goccia di sangue che cadde a terra divenne una coccinella. Affascinato, Urunti le mostrò il mondo e lei rimase colpita dalla sofferenza che vi regnava: gli animali vivevano ed invecchiavano, ma non morivano. Così chiese al gigante di disegnarle sulle ali una macchia per ogni dispiacere e poi gli chiese se poteva lasciarli morire e permettere a degli occhi nuovi di vedere quella realtà. Per insegnare ad Urunti che cos’era la morte, si gettò sulle spine della rosa. –Breve storia non molto allegra-.
Grazie quindi alla coccinella della leggenda esiste il ciclo della vita e lei è diventato il simbolo di fortuna e felicità.
Avete mai sentito questo proverbio?
Che domanda sciocca, l’avrete sentito almeno un milione di volte.
È inerente al nostro discorso, perché stiamo parlando del corno napoletano.
Fin dall’antichità, infatti, avere un figlio maschio era fondamentale per la prosperità della famiglia, per l’eredità e tutti gli altri discorsi che ormai si conoscono. Era quindi diventato comune disegnare i genitali maschili come simbolo di fortuna. –E qui, mi rendo conto che tanti ragazzi potrebbero essere incoraggiati a fare disegni inappropriati con questa scusa. Non lo fate. Non siamo nell’antica Roma-.
Adesso, pensate al simbolo di fortuna tipico di Napoli e d’intorni.
Esatto, il caro cornetto rosso laccato, talmente tanto appuntito da essere un’arma impropria, è solo la stilizzazione, avvenuta del corso dei secoli, di quel simbolo. – Che, tra parentesi, si usava anche per indicare i lupanari (bordelli)-.
Era effettivamente strano che il “caro, vecchio ed amichevole” Lucifero non fosse ancora stato nominato, ma in questa storia è proprio la star.
Secondo la leggenda, Saint Dunstan era un fabbro molto bravo ed un giorno un uomo con gli zoccoli gli chiese se potesse ferrarglieli. Il nostro, all’epoca non ancora, Santo capì che si trattava del diavolo –Non che ci volesse tanto. I casi erano due: o era Satana o era Pan, e non credo che quest’ultimo si farebbe mai ferrare gli zoccoli– perciò eseguì il lavoro nel modo più doloroso possibile.
Acconsentì di fermarsi solo dopo che il suo cliente avesse giurato di non fare del male a nessuno che avesse un ferro di cavallo, appeso verso l’alto, in casa.
Poi ci sono altre spiegazioni per spiegare la fortuna portata da questi oggetti:
C’è chi pensa che sia dovuto al fatto che la sua forma ricordi i genitali femminili, e quindi gli spiriti maligni ne vengono distratti e lasciano stare il loro obbiettivo. Chi invece crede che sia perché i fabbri sono connessi sia alla Terra (ferro) sia al fuoco (per fondere i metalli), e che quindi infondano nelle loro creazioni un po’ della magia legata ai due elementi.
Chi non ha mai cercato un quadrifoglio da bambino?
Purtroppo sono piante estremamente rare, e, nonostante la sua ricerca permetta di tenere i pargoletti lontano dalla tecnologia per un paio d’ore, raramente ha dei risultati.
Infatti è una mutazione del trifoglio, e, stando alle statistiche, si può trovare un quadrifoglio ogni 10mila trifogli. –una robetta da niente, in pratica-.
I Druidi pensavano avesse molti poteri protettivi e avevano dato ad ogni foglia il suo significato: amore, fede, speranza e fortuna.
Poi con l’avvento del cristianesimo, quest’ultima è stata sostituita dalla Grazia di Dio e la piantina è diventata simbolo di San Patrizio, patrono d’Irlanda.
Ma, se devo dire la verità, alla benedizione irlandese
“Che tu abbia le tasche pesanti e il cuore leggero, che la fortuna si prenda cura di te giorno e notte.”
Preferisco il detto svedese:
“La fortuna non dona mai; presta soltanto.”
Written by: Ro Vendittelli
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