Socrate ha sottolineato l’importanza del “conoscere se stessi”. Ma come siamo in grado di farlo esattamente?
Sviluppiamo la conoscenza di noi stessi attraverso processi di autopercezione atti a raccogliere informazioni sul sé. Poiché il sé è allo stesso tempo colui che percepisce e ciò che viene percepito, la percezione del sé è un processo cognitivo sociale unico. In altre parole, quando pensiamo a noi stessi, il sé sta creando il pensiero ed è anche oggetto dei nostri pensieri – il massimo di valutazione soggettiva possibile. Il nostro senso del sé si basa in parte sul notare la differenza tra la conoscenza di noi stessi e quella che abbiamo sulle peculiarità, i desideri e i pensieri delle altre persone. Le nostre preferenze individuali ci aiutano a definire ciò che ci rende unici rispetto agli altri individui. I grandi temi delle neuroscienze cognitive sociali si incentrano su quali siano i meccanismi neurali e psicologici che supportano l’elaborazione delle informazioni relative al sé e alle altre persone, se questi meccanismi siano uguali o differenti e in che modo il cervello distingua tra il sé e l’altro. Per trattare brevemente (si fa per dire) uno di questi meccanismi, pensiamo all’autoreferenzialità.
Alcune ricerche suggeriscono che la corteccia prefrontale mediale, la regione associata all’elaborazione autoreferenziale, abbia proprietà fisiologiche uniche che potrebbero consentire il verificarsi di questa funzione anche quando non stiamo attivamente cercando di pensare a noi stessi. Quando il nostro cervello è a riposo da un punto di vista cognitivo, esso continua a essere impegnato in una serie di processi psicologici che descrivono una modalità funzionale cerebrale predefinita, anche nota come Modalità di Default.
Ovviamente, anche quando si è a riposo, in silenzio, e non si pensa a nulla in particolare, il sangue continua a circolare all’interno del cervello, il quale utilizza ossigeno. Difatti, una rete di regioni cerebrali, compresa la MPFC (corteccia prefrontale mediale), ha tassi metabolici che sono più alti ‘a riposo’. Si è concluso che questa Rete di Default è lì per garantire che si abbia sempre idea di ciò che sta accadendo intorno a noi. Questa è chiamata “l’ipotesi della sentinella”.
La Rete di Default è molto più attiva quando i processi mentali deviano la nostra attenzione dagli stimoli esterni e siamo interiormente concentrati. Questo ha senso, perché non ci sono regioni sensoriali o motorie primarie collegate alla Rete di Default. Essa è collegata al sistema di memoria del lobo temporale mediale, il che spiega perché spesso consideriamo il passato in queste divagazioni predefinite. Tale rete è disattivata quando eseguiamo attività specifiche. Così, quando volete smettere di rimuginare sulla vostra situazione, causata da tristezza, rabbia, o depressione, è possibile farlo eseguendo attivamente un compito, come l’apprendimento di una nuova abilità.
Ciononostante, molti studi affermano che la Rete di Default sembra fare qualcosa di più dell’elaborazione esclusivamente autoreferenziale delle informazioni. Queste includono compiti di memoria autobiografica, compiti che prevedono di immaginare sé stessi nel futuro o in viaggio perso un luogo diverso, e compiti che valutano dilemmi morali. Inoltre, regioni simili del cervello risultano attive quando pensiamo alle credenze e alle intenzioni delle altre persone, cioè ai loro stati mentali.
Riuscite a individuare il filo conduttore che accomuna questi compiti?
Anche se diversi per contenuto e per scopo, ogni compito richiede di immaginare sé stessi in situazioni diverse dal qui ed ora, cioè, di adottare una prospettiva alternativa.
Questo tipo di processo cognitivo è esattamente ciò di cui necessitiamo per essere in grado di dedurre gli stati mentali degli altri, come per esempio cercare di immaginare come si dovette sentire il vostro amico quando fece un goal apparentemente impossibile verso la fine della partita e che portò la sua squadra alla vittoria. Dobbiamo uscire dalle nostre scarpe per ‘metterci nelle scarpe di qualcun altro’. Da questa spiegazione, i processi che danno origine alla nostra comprensione delle menti delle altre persone si sovrappongono ai processi che supportano le speculazioni sulle nostre attività. L’intensa attività metabolica a riposo, misurata dalla Rete di Default, indica che la mente umana preferisce naturalmente la realtà simulata rispetto all’ambiente esterno immediato. La disattivazione di queste regioni indica che questi scenari virtuali sono stati messi temporaneamente da parte per orientare la nostra attenzione al mondo concreto e reale che ci circonda.
Dopotutto, se la nostra Modalità di Default fosse sempre pronta per l’interazione sociale, e non si disconnettesse quando siamo impegnati in un compito che coinvolge oggetti governati da forze esterne, potrebbe essere piuttosto invalidante. Considerate buffamente come sarebbe se ogni volta che pelassimo le patate prendessimo in considerazione i pensieri della patata (ma vuole essere pelata?) o del pela-patate (forse preferirebbe tagliarle piuttosto che pelarle?). Noi esseri umani saremmo naturalmente predisposti a pensare agli stati mentali, ma per interagire adeguatamente con gli aspetti non sociali del nostro ambiente dobbiamo contrapporci a questa naturale inclinazione. Non ci riusciamo tutte le volte: per esempio, quando ce la prendiamo con la nostra automobile disastrata e la accusiamo di aver compromesso intenzionalmente il nostro importante appuntamento.
Di Andrea Valitutti
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