“Quando pensi allo stile visivo, quando pensi al linguaggio visivo di un film, tende a esserci una naturale divisione tra lo stile visivo e gli elementi narrativi, ma con i grandi, sia che sia Stanley Kubrick, Terrence Malick o Hitchcock, quello che vedi è inseparabile, una relazione vitale tra le immagini e la storia che stanno raccontando.”
Christopher Nolan è un regista che ha sperimentato e continua a sperimentare generi cinematografici completamente diversi, li fa suoi e li rivisita: con “Memento” il genere noir thriller, il genere sci-fi con “Interstellar”, quello di guerra con il più recente “Dunkirk”, quello dei supereroi con la trilogia di “Batman” (che probabilmente avrete visto senza sapere che sono suoi) e altri ancora.
Da quasi tutti i suoi film sono palesi gli interessi preferiti dal regista, ossia la memoria, il tempo e l’inganno, temi portati all’estremo in “Memento” e “Inception”.
Mentre il primo è meno conosciuto ed era un progetto più piccolo ( realizzato con un budget molto basso dato che era solo il secondo lungometraggio di Nolan), “Inception” è considerato uno dei capolavori del regista ed è conosciuto più o meno da tutti.
“Non riesco a ricordarmi di dimenticarti”. –Leonard Shelby

Come potete immaginare da questa citazione, “Memento” è un film incentrato sulla memoria.
Tutto ruota intorno a Leonard Shelby, afflitto, in seguito allo stupro e all’uccisione della moglie, da un tipo di amnesia che lo rende incapace di immagazzinare nuovi ricordi per più di 15 minuti e che perciò si riempie di tatuaggi con le cose fondamentali da ricordare imparando inoltre a fidarsi unicamente della propria scrittura, in modo da non poter essere fregato.
Nolan riesce a far vivere anche a noi la stessa situazione di disagio; infatti, un senso di ansia costante e di disorientamento vi seguirà per la visione del film grazie a tutto l’impianto registico: la capacità di Nolan di farci concentrare sui particolari che vuole lui, da bravo regista, e la struttura cronologica frammentata e restrittiva, che mostra il background del solo protagonista.
Il film inizia con la fine della storia, scelta che spiazza lo spettatore e fa cercare subito un contesto, una storia, un perché. Ci ritroviamo subito perplessi dalla scelta di Nolan che frammenta il racconto in due storie. La prima ci mostra non cronologicamente ciò che muove tutto il film: la vendetta per la perdita di una persona cara. In questo “sub-film” la storia ci viene presentata in scene retrograde di 15 minuti in cui l’inizio di ognuna è la fine di quella dopo, in cui il protagonista non ricorda come è arrivato lì, dov’è e cosa ha fatto poco prima, rendendolo completamente vulnerabile a chiunque si voglia prendere gioco di lui.

La seconda storia è cronologica e in bianco e nero e mostra il protagonista che racconta al telefono a un poliziotto la storia di Sammy Jenkins, un uomo che ha avuto la sua stessa storia. All’interno della storia principale c’è però un’altra storia che mostra il ricordo di Leonard dell’omicidio della moglie, ma potrebbe essere solo ciò che è convinto di ricordare Leonard, e la moglie potrebbe essere sopravvissuta. Ci ritroviamo quindi a vivere esattamente le sensazioni del protagonista e crediamo a ciò che ci viene raccontato; ma come è possibile che i ricordi e i presentimenti di Leonard siano sbagliati, è possibile anche che noi abbiamo una visone non reale della storia, rivivendola tramite i ricordi del protagonista.
“Memento” è in realtà basato su un grande inganno, una bugia che il protagonista si propina per stare bene e che costituisce un inganno anche per lo spettatore.
L’unica certezza del film è l’obiettivo finale del protagonista: uccidere l’assassino di sua moglie, ossia un certo John G., ma anche questa certezza potrebbe vacillare perché la moglie potrebbe non essere effettivamente morta.
Durante il film ci ritroviamo a pensare alla povera condizione del protagonista, fregato da tutti, ma nel finale tutto viene ribaltato nel discorso con Teddy, nel quale rivela a Leonard (e a noi) che Sammy Jenkins è in realtà sempre stato il protagonista, che mente a se stesso per essere felice, cercando in loop un Jhon G. che è già morto, facendo di questa ricerca il suo unico scopo e creando una propria realtà in cui puo’ fuggire la morte della moglie.

Tutto culmina con la domanda che il protagonista rivolge a sè: “mento a me stesso per essere felice?”, con cui ammette che ciò è effettivamente vero e che continuerà per sempre a cercare un nuovo John G. Da quel momento Teddy è il nuovo obiettivo, il nuovo assassino della moglie e così il circolo del film si riunisce, la fine si riunisce con l’inizio, le due linee temporali si ricongiungono e lo spettatore ne esce più confuso che mai.
“Memento” sostiene la teoria per il quale noi siamo i nostri ricordi, il protagonista ha un obiettivo ma è un contenitore vuoto di ricordi che vive in un loop. Nella scena finale vediamo Leonard accanto alla moglie, viva, e notiamo un tatuaggio sul petto che prima non c’era: “I’ve done it” (“L’ho fatto”).
“Qual è il parassita più resistente? Un’idea. Una singola idea della mente umana può costruire città. Un’idea può trasformare il mondo e riscrivere tutte le regole.”
“Inception“, un film dalle mille interpretazioni, che molti avranno visto più volte per capirlo e chi l’ha visto una sola volta non ha probabilmente trovato un senso al tutto, dal momento che come al solito il racconto è frammentario e disorienta particolarmente.
Tutto il film è basato su un dubbio, cosa è realtà, cosa è sogno e cosa li differenzia?
Tante persone hanno dato tante risposte diverse e abbiamo tre teorie principali.
C’è chi dice che l’intera pellicola sia una metafora sulla creazione di un film, in cui i vari personaggi rappresentano ognuno un ruolo della produzione cinematografica; o c’è chi crede che tutto quanto in realtà sia un inception del protagonista Cobb (Leonardo Di Caprio) che non riuscendo a dimenticare la sua ex moglie Mol, è rimasto bloccato nel mondo dei sogni e tutto ha come obiettivo il curare la ferita lasciata dall’abbandono della moglie, innestandogli l’idea che sia lui a volerla dimenticare.
Nel finale vediamo che Cobb gira il totem e poi se ne va, cosa che non fa mai durante il film, forse perché capisce che è pronto a rivedere i bambini e ha superato il senso di colpa, non importa se sogno o realtà. Può anche essere, però, che in realtà non importa se si ferma o no, perché il totem è un altro, sono proprio i bambini: finalmente Cobb riesce a guardarli in viso e capisce che è la realtà, quando per tutto il film non riesce mai a vedere i loro volti.
Il totem potrebbe però essere il suo anello di matrimonio, che a una prima visione non si nota, ma guardando attentamente si scopre che nelle scene in cui Cobb è nella realtà non lo indossa, mentre in quelle nel sogno si, come segno della presenza ancora forte di Mol.

Tutto il film è presentato come un sogno, il senso di disorientamento contrapposto a quello di familiarità.
È l’interpretazione che gli dai che cambia completamente prospettiva e questo film è aperto a molte teorie diverse ed è proprio l’interpretazione dello spettatore che conferisce il vero significato della narrazione.
In “Inception”, quindi, viene affrontato lo stesso tema di “Memento”: le esperienze di sogno sono così vivide che si mischiano con la realtà fino a non distinguerne più la differenza, così come le bugie si mischiano con la verità in un loop infinito di domande su cosa sia reale o vero e cosa no.
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