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Soundtrack da ascoltare durante la lettura:” Moby Dick” – Led Zeppelin
John Henry Bonham, indimenticato “Bonzo”. Storico batterista dei Led Zeppelin.
Basterebbero queste due frasi a raccontare tutto perchè, in poche sillabe, è racchiuso l’essenziale. Senza orpelli, senza giri di parole. E già so che i più “grandicelli” di voi saranno immediatamente trasportati indietro nel tempo. Ai ricordi basta talmente poco per scatenarsi, per ripercorrere immagini, per dar vita a sensazioni, addirittura emozioni.
Ed è esattamente ciò che voglio fare insieme oggi, nel giorno della sua scomparsa. Un balzo nel tempo, fino al 1970. Attraversiamo la Manica. Senza un ritorno assicurato, però!
La splendida sala concerto era colma fino all’impossibile. Le luci tutte intorno, le grida, gli occhi sbarrati davanti a uno spettacolo che stava per diventare leggenda. I ragazzi stipati addosso al palco, quasi a poter toccare i loro beniamini. A quel tempo ancora si poteva.
Niente filtri, niente barriere, la musica dal palco fluiva velocissima dagli strumenti fino alle mani della gente. Ogni vibrazione rotolava giù senza barriere. Chi aveva la “grazia” di assistere a quei concerti veniva letteralmente travolto, inondato, sopraffatto da una potenza impressionante. E i segni rimanevano addosso, sulla pelle, come un filo d’acciaio ricamato fra le dita, cucito in modo cadenzato sul viso, sulle spalle, fino a correre giù nelle gambe che non smettevano di agitarsi, di cercare spazio. Per straripare!
Cadenzato, si. Il ritmo era assolutamente cadenzato. Perfettamente calcolato per creare tumulto nello stomaco. Puntellato con precisione sotto, dentro e intorno agli altri strumenti. Esattamente indirizzato verso quella voce sensualissima per innalzarla ancora di più e renderla inossidabile nel tempo.
Io non ho avuto la benedizione di godermelo dal vivo. Io non c’ero quella notte a Londra, ma ne ho sentito parlare. E nemmeno le altre notti in giro per il mondo, ma ne ho sentito parlare. Non ero nemmeno nata, ne ho solo sentito parlare. Ho vissuto di racconti, di video che hanno fatto storia, di dischi consumati con la malinconia di chi sente di esser nata fuori tempo. E se, a me che ho goduto della sua luce riflessa, è piombata addosso tanta potenza, posso solo immaginare cosa strisciasse e battesse forte in petto sotto a quel palco.
Nella setlist di quella serata c’era un brano che ha segnato il percorso dei Led Zeppelin per un motivo ben preciso. Gli amanti dell’hard rock sanno già a cosa mi riferisco. I fan più affezionati della band lo sanno ancora meglio. Bastano due piccolissime parole per scatenare l’immaginario e il ricordo di una esibizione che è diventata un faro accecante per tutti i batteristi del mondo… e non solo!
Il brano strumentale è una perla massiccia e sconvolgente. Ad ogni live la durata dell’esecuzione oscillava tra i sei e i trenta minuti e, dopo aver introdotto la canzone, il resto della band lasciava il batterista da solo sul palco. E accadeva l’Inferno. Si rovesciava addosso al pubblico un’ondata poderosa, battente, maleducata che non lasciava spazio ad altro.
Bacchette di scorta e si inclinava la linea temporale. Si sospendeva il tempo, si flettevano gli sguardi puntando tutti al centro del palcoscenico, si sovvertivano gli spazi, le idee, perfino i pensieri. Si ribaltavano i campi. La melodia scomponeva i margini invertendo la rotta e lasciando ogni arbitrio al ritmo.
Minuti interminabili in cui nessuno avrebbe voluto essere altrove. Nessun altro luogo. Nessun’altra parte. L’ipnosi assoluta, la suggestione scostumata. Bonham, in poche manciate di minuti, attirava qualsiasi cosa su di sè: magnetizzava, stregava, ammaliava, incantava, dominava. Un plagio legalizzato delle sensazioni del pubblico. In piena regola. E alla fine dell’esibizione lanciava le bacchette alla platea e proseguiva a mani nude. Altre volte, invece, faceva la stessa cosa, per colpa della rottura delle bacchette. Era sopraffatto in prima persona dal suo stesso impeto.
Che altro volete che vi racconti? Volete una carrellata di date, nomi, esperienze? Volete il curriculum artistico e i dettagli sgradevoli circa la sua assurda morte a 32 anni? Nemmeno per idea. Quando si parla di giganti dal calibro esagerato bisogna solo far parlare loro. Anche se non ci sono più.
Quindi andiamoci assieme sotto quel palco a Londra. Abbandoniamo ogni resistenza. Sale in cattedra “Bonzo”!
Written by: Valentina Proietto Scipioni
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