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Soundtrack da ascoltare durante la lettura: “Don’t worry about me”- Joey Ramone
Nel giorno della sua scomparsa voglio ricordare Joey Ramone, padrino del punk che è rimasto impresso nella memoria di chiunque grazie alla sua immagine eccentrica, un po’ dark, che contrasta con la sua personalità energica e gioiosa.
Occhiali tondi. Una scintillante giacca di pelle. Sembrerebbe paradossale, ma un personaggio come Roger Daltrey, cantante degli Who, in un’intervista al Rolling Stone, si schierava contro l’abitudine di fare musica puntando su abbigliamenti anticonvenzionali. Invece Joey -e i suoi Ramones– in questo senso hanno davvero lasciato il segno.
Hey Ho! Let’s go! È il grido di battaglia sul palco, oppure Gabba Gabba Hey! Anticonformisti, i Ramones cominciano così il loro spettacolo punk. Non contando 1,2,3, ma gridando parole tipo: be, be, be.
Il codice del punk non si può non attribuire a lui. Sulla scena si presenta come fosse un fumetto o un cartone animato in carne ed ossa, magrissimo ed alto 1,98. Scrivendo testi minimalisti. Se ci immaginiamo ad un loro concerto sarebbe impossibile non rimanere incantati dal senso dell’umorismo di Joey, in simbiosi con l’intero gruppo. E saremmo rapiti dalle sue movenze docili, ma dannatamente punk.
Joey Ramone è diventato un’icona della controcultura. All’anagrafe la madre decise di chiamarlo Jeffry , senza la solita “e” finale, perché fin dalla nascita, vuole renderlo diverso. E così è stato: una rock star senza gli eccessi o gli atteggiamenti stereotipati che conosciamo.
Una doppia personalità disarmante. Nonostante lui fosse timido e riservato, in modo quasi patologico, sul palco era una “mostruosità” ed ha lasciato un segno indelebile anche nel ricordo di molti suoi colleghi. Gli U2 per esempio.
“Questa è l’ultima canzone che Joey Ramone ha ascoltato: sono sempre stato un fan dei Ramones e quindi adesso voglio che sia sua. Ma se prima era una canzone sui postumi di una sbronza, adesso sarà per sempre il gospel di Joey”.
Racconta così Bono Vox, il frontman degli U2. La canzone in questione è In a little while, ed è, appunto, l’ultima che Joey ascoltò prima che la sua anima timida, anti ribelle e pacata, andasse a miglior vita.
Quale testamento migliore poteva lasciarci se non aprire un album, dopo lo scioglimento della band, con What a wonderful world di Louis Armstrong?
Joey Ramone già sapeva della sua malattia, stava già male da tempo quando registrò questo suo atteso primo album solista, che purtroppo sarebbe stato, come detto, anche l’unico.
“Seduto in un letto d’ospedale non voglio altro che la mia vita. La frustrazione mi prende la testa. Spengo la tv e prendo qualcosa per dimenticare. Sono a terra, ma mi rialzerò”
Il grido disperato di gioia che lancia Ramone in quest’ultimo brano è assordante, ancora oggi. Continua a ripetere: “Non preoccupatevi per me.”
Dalle canzoni più oscure salgono gli spiriti della paura e dell’incertezza, ma non viene mai meno la forza di sorridere e di reagire attraverso la musica.
Ed è proprio questo status contrastante che rende il disco meraviglioso. Ed esce fuori la vera anima di Joey.
Si chiude così una storia che in realtà non si è mai conclusa veramente e non finirà mai, oltre la retorica.
Arrivederci Joey, non preoccuparti, non ti dimenticheremo mai: Hey Ho!
Written by: Francesca Aiello
Tempo di lettura: 2 minuti
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