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Soundtrack da ascoltare durante la lettura: “Questa insostenibile leggerezza dell’essere” – Antonello Venditti
Si può essere fashion victim nel vero senso della parola?
Il rischio c’è ed è sempre più evidente. Perché ormai lo sappiamo, la moda crea sogni ma può anche mietere vittime silenziose.
Ci sono poche certezze nella vita e una, acquisita grazie alla consapevolezza conquistata con il tempo, è che la bellezza non sempre va di pari passo con il buono – il lato etico e sostenibile della moda -. E noi, in questo senso, cosa siamo disposti a sacrificare?
I tessuti possono avvelenarci piano piano. Dietro alle texture delle stoffe spesso si nascondono insidie che abbiamo il diritto di conoscere. Del resto la salute nostra e dell’ambiente nel quale viviamo, va difesa senza tentennamenti. Le sostanze tossiche e i metalli pesanti sono i primi nemici da riconoscere.
Greenpeace si occupa da anni proprio di questo e a tal proposito ha stilato una pagella – promossi e bocciati – dei brand della moda detox. Per non sbagliare, nel frattempo, si può comunque imparare a leggere le etichette dei capi e a scegliere i tessuti naturali ed ecologici.
Anche l’Unione Europea si schiera contro il fast fashion. In un mondo che va sempre più veloce – come se la velocità fosse garanzia di qualità ed efficienza – rallentare diventa una necessità. Recuperare quindi la bontà delle e nelle cose, e la giusta lentezza per ottenerle.
I mercatini, ad esempio, sono pieni zeppi di piccole meraviglie da indossare e da sfoggiare come pezzi unici. Recarsi lì per gli acquisti è uno degli antidoti più efficaci e semplici da adottare contro il fast fashion che altro non è che “la combinazione di alti volumi di capi di qualità inferiore a bassi livelli di prezzo”.
“L’industria della moda continua a sfruttare i lavoratori e a generare enormi impatti ambientali.” – Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace Italia.
Salvare l’ambiente e rilanciare la moda europea eliminando la concorrenza di chi produce in Paesi che non rispettano la sostenibilità e i diritti umani.
Con l’introduzione di un divieto esplicito alla distruzione di prodotti di abbigliamento e calzature invenduti.
Gli eurodeputati inoltre chiedono: l’introduzione di un passaporto elettronico per le merci, che renderà disponibili le informazioni sul ciclo produttivo dei capi, dando la possibilità di sapere se ciò che ci apprestiamo ad acquistare rispetta i criteri di sostenibilità.
Chiarezza e impegno, quindi, per un futuro più libero e più pulito. Affinché la moda torni ad essere la fiaba che pensavamo fosse, nel rispetto dell’ambiente e delle persone.
Written by: Orietta Giorgio
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