Soundtrack da ascoltare durante la lettura: “Il suonatore Jones” – Fabrizio De André
Oggi intervisto per Voicebookradio.com Gian Marco Manzo, un giovane poeta contemporaneo dall’animo sensibile, realista e con una penna molto appassionata.
Forse lo avranno detto anche a voi, quando eravate a scuola, che per imparare a scrivere bene bisogna leggere bene. Ed è nell’amore per la lettura che il poeta Gian Marco Manzo inizia a camminare attraverso le proprie emozioni riversandole poi nella poesia.
“Ho iniziato a mettere le parole sui fogli quando ero ancora un bambino. A quei tempi per me la scrittura era qualcosa di terapeutico. Scrivevo per mettere in ordine i miei pensieri, le emozioni, le sensazioni dei giorni che passavano e pareva quasi che, attraverso quelle parole, anche la vita che trascorreva acquistasse un senso. Le parole erano sfogo, confidarsi con qualcuno che ti ascoltasse, che ti capisse. Era un dialogo con me stesso, ma anche con chi non aveva il coraggio di parlare. Questa maniera di vivere la scrittura è sempre viva dentro di me e, da allora, non ho mai smesso di scrivere. Dico sempre a chi me lo domanda, che parole e libri, mi hanno salvato la vita”.
Gian Marco, oltre che un poeta, è uno psicologo clinico e uno psicoterapeuta in formazione, un gran valore aggiunto che gli permette di scendere in profondità nell’animo umano. Infatti, in ciò che scrive, ci si può riconoscere con gran semplicità, perché ha un linguaggio immediato, familiare, che somiglia alle emozioni di chi legge.
Come molti poeti contemporanei diffonde pensieri in pillole anche sui social ed è lì che l’ho incontrato.
Colpita da parole senza fronzoli, limpide, senza compromessi e molto leali.
Dal 2019 ad oggi ha pubblicato due libri: Abbi cura di te – Amore in pillole e Così fragile che ti si vede il cuore. Sono raccolte di poesie, pensieri e dialoghi che mi farò raccontare proprio da lui.
Abbi cura di te – Amore in pillole, poesie e pensieri che raccontano storie di vita, di cambiamenti e maturazioni fino alla consapevolezza più importante. La preziosità dell’amore verso sé stessi. Qual è stata la scintilla da cui è nato questo tuo primo libro?
“La scintilla che ha fatto nascere questo mio primo libro è stata sicuramente l’inizio di una terapia personale. Per tantissimi anni ho creduto che l’amore di un’altra persona potesse salvarmi e riempire quei vuoti che avevo vissuto sulla mia pelle durante il mio passato. Cercavo, come un bisogno, l’affetto di qualcuno, quella famosa metà della mela di cui metaforicamente ci parla Platone: l’anima gemella. Per poi comprendere che nasciamo interi e, seppur spesso il dolore ci taglia a metà, non possiamo trovare la cura a quelle ferite in un altro, ma solamente in noi stessi.
L’amore ci deve trovare pieni.
Perciò, abbi cura di te”.
Così fragile che ti si vede il cuore. Un vero e proprio scrigno che raccoglie pensieri di bellezza da riscoprire nell’intimità dei propri difetti. La sensibilità, la fragilità, i timori. Perché proprio le nostre caratteristiche umane ci fanno sentire “diversi”?
“Ognuno di noi, in maniera più o meno netta, è diverso. È unico. Alcuni riescono a trovare con più facilità il loro posto nel mondo, il loro ritmo buono nel tempo. Altri, invece, sperimentano una sensazione di lontananza, di stonatura. Il rischio dei secondi è arrivare ad un punto in cui ci si sente soli, sbagliati, perché incompresi dalla maggior parte delle persone. Beh, è soprattutto a loro che “Così fragile che ti si vede il cuore” è dedicato. Affinché possano cambiare sguardo su sé stessi, e vedere in tutta quella diversità non più un errore di fabbrica, ma un marchio di rarità”.
Mi colpisce molto una frase scritta nella sinossi di quest’ultimo libro:
“Ognuno col proprio bagaglio di meraviglia e sofferenza. Ognuno bello nella propria unicità. Ognuno con le sue crepe di fragilità. E da quelle crepe esce un casino di luce”.
Che luce può venir fuori dalle crepe e dalle cicatrici del nostro animo?
“Il dolore fa parte della vita, probabilmente in maniera maggiore dei momenti di pura felicità. E, questa, credo sia una realtà da accettare. Adesso, noi abbiamo due scelte da poter abbracciare di fronte alla sofferenza: lasciarci affondare o, ancor peggio, incattivire, e morire lentamente; oppure, trovare sul fondo di quelle lacrime l’acqua adatta a rifiorire e rinascere.
Dal dolore possono originare qualità straordinarie: la sensibilità, l’empatia, l’amore. Sta solo a noi farne arte”.
Se le tue poesie fossero una canzone, quale sarebbero?
“Se le mie poesie fossero una canzone, forse sarebbero “Il suonatore Jones” di Fabrizio De André. È una canzone che amo profondamente, tanto da tatuarmene il primo verso sulla pelle. “In un vortice di polvere gli altri vedevan siccità. A me ricordava la gonna di Jenny in un ballo di tanti anni fa”.
Si può trovare la bellezza anche dove la maggior parte della gente riesce a vedere solo morte. Non è quello che guardiamo a cambiare, ma i nostri occhi”.
Caro poeta, vorrei che ci lasciassimo con un tuo pensiero.
“Tempo fa scrissi una frase che, adesso più di ieri, sento di voler condividere.
Se mi domandassero tre consigli, io risponderei:
torna bambino ogni volta che puoi,
scegli la solitudine se non hai una vera compagnia,
e respira la follia quando la normalità ti soffoca”.
Vi consiglio di seguire questo giovane poeta sui social per non perdere le sue pillole di poesie più o meno quotidiane.
Profilo Facebook: https://www.facebook.com/GianMarcoManzoScrittore
Profilo Instagram: https://www.instagram.com/gian_marco_manzo/?hl=it
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