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Cultura

Il Linguaggio

today27 Novembre 2017

Background
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[vc_row][vc_column][vc_column_text]H.W., un veterano della II guerra mondiale, una persona robusta e in forma, che era a capo di un business multimilionario, aveva 60 anni quando venne colpito da un grave ictus all’emisfero sinistro. Dopo un parziale miglioramento, H.W. rimase con una leggera emiparesi (debolezza muscolare) al lato destro del corpo e un lieve deficit nel riconoscimento dei volti. Le sue abilità intellettuali rimasero inalterate e la sua prestazione in un test sul ragionamento visuospaziale si collocava tra il 91° e il 95° percentile per la sua fascia di età. Quando decise di tornare al comando della sua azienda prese in forza due dei suoi figli poiché la malattia gli aveva lasciato un grave problema linguistico: non riusciva a nominare la maggior parte degli oggetti.
H.W. soffriva di una forma grave di “Anomia”, l’incapacità di trovare le parole per etichettare le cose del mondo. I test rivelarono che H.W. sapeva accedere agli aggettivi meglio che ai verbi, ma il recupero dei sostantivi era la funzione maggiormente colpita. Era in grado di comprendere sia ciò che gli veniva detto sia il linguaggio scritto, ma aveva problemi a nominare gli oggetti, sebbene non nell’eloquio in sé e per sé. Come mostra il caso di H.W., l’anomia può essere notevolmente selettiva. In test in cui gli vennero mostrati 60 item chiedendogli di nominarli, H.W. fu in grado di nominare solamente uno, una casa. Aveva una compromissione nei test di ripetizione delle parole, di lettura di parole e frasi e di generazione di numeri. Sebbene soffrisse di ciò che molti considererebbero una lesione cerebrale devastante, H.W. era in grado di compensare il suo deficit. Poteva sostenere conversazioni di alto profilo intellettuale mediante l’utilizzo di una combinazione di circonlocuzioni, indicazioni gestuali, pantomime e disegnando la prima lettera della parola che intendeva dire.
Sebbene H.W. non fosse in grado di produrre sostantivi per descrivere gli aspetti della sua fanciullezza o per chiacchierare tranquillamente con i suoi amici, colleghi e familiari, usava in modo appropriato le strutture grammaticali ed era in grado di mimare le parole che voleva. Era profondamente consapevole dei suoi deficit.
Il problema di H.W. non riguardava la conoscenza degli oggetti. Sapeva cosa fosse un oggetto e quale fosse il suo utilizzo. Semplicemente non poteva produrre la parola. Sapeva anche che quando poteva vedere la parola che voleva usare, l’avrebbe riconosciuta. Per dimostrarlo, gli veniva data una descrizione di qualcosa e poi gli veniva chiesto quanto fosse sicuro che avrebbe scelto la parola corretta per questa, da una lista di 10 parole. Per esempio, alla domanda se sapesse quale fosse lo strumento dell’automobile che misura i chilometri, rispose che avrebbe riconosciuto la parola con l’accuratezza del 100%.
Sulla base del caso di H.W. siamo in grado di comprendere che il recupero delle conoscenze degli oggetti non coincide con il recupero dell’etichetta linguistica (il nome dell’oggetto). Noi stessi possiamo avere avuto questa esperienza: talvolta quando cerchiamo di dire il nome di qualcuno non riusciamo ad arrivare a quello corretto, ma se qualcuno cerca di aiutarci e menziona un po’ di nomi, noi sappiamo con certezza quali non sono corretti. Questa esperienza è nota come il fenomeno “sulla-punta-della-lingua”. I problemi di H.W. illustrano ulteriormente che l’abilità di produrre il linguaggio non coincide con l’abilità di comprenderlo e che di conseguenza le reti coinvolte nei processi di comprensione e produzione del linguaggio sono diverse.
Tra tutte le funzioni dell’essere umano il linguaggio è probabilmente la più specializzata e raffinata e può essere considerata a ragion veduta quella che distingue con maggiore evidenza la nostra specie. Sebbene gli animali posseggano sofisticati sistemi di comunicazione, le abilità dei nostri parenti primati, anche le più fluenti, sono di gran lunga inferiori a quelle degli esseri umani. Poiché non esiste un omologo animale al linguaggio umano, del linguaggio di sa un po’ meno che delle sensazioni, della memoria, o del controllo motorio. Il linguaggio umano deriva dalle abilità del cervello e in quanto tale viene chiamato linguaggio naturale. Può essere scritto, parlato o mimato coi gesti. Fa uso di una codifica simbolica delle informazioni per comunicare sia informazioni concrete sia idee astratte. Il linguaggio umano può convogliare informazioni relative al passato, al presente e ai nostri piani per il futuro. Il linguaggio permette agli esseri umani di trasmettere informazioni tra partner sociali. Possiamo anche acquisire informazioni da coloro che non sono più in vita. Quindi, possiamo apprendere dalle nostre esperienze e da quelle delle generazioni precedenti (se vogliamo).
Le neuroscienze cognitive del linguaggio studiano come il linguaggio derivi dalla struttura e dalle funzioni del cervello umano. Le nostre attuali conoscenze risalgono alle ricerche del XIX secolo che investigarono l’argomento attraverso lo studio di pazienti con deficit del linguaggio. Le loro scoperte produssero i «classici modelli» del linguaggio che enfatizzano come specifiche regioni cerebrali compiano compiti specifici, come la comprensione e la produzione del linguaggio.
Negli anni ’60 del Novecento i ricercatori svilupparono un rinnovato interesse nello studio dei pazienti con deficit linguistici per comprendere le strutture neurali che supportano il linguaggio. Allo stesso tempo, la psicolinguistica, una branca della psicologia e della linguistica, ha usato un approccio diverso, concentrandosi sui processi cognitivi alla base del linguaggio. Le neuroscienze cognitive incorporano questi approcci neuropsicologici e psicolinguistici per investigare come gli esseri umani comprendano e producano il linguaggio. Lo sviluppo di nuovi strumenti, come gli elettroencefalogrammi di ultimissima generazione, gli ERP e le neuroimmagini funzionali e strutturali ad alta risoluzione, hanno accelerato le scoperte sulle basi neurali del linguaggio, dando luogo a una rivoluzione delle neuroscienze cognitive. Il modello classico del linguaggio è stato ora sostituito da un nuovo approccio ai sistemi linguistici, con il quale i ricercatori identificano le reti neurali che supportano il linguaggio umano e rivelano i processi computazionali che lo rendono possibile.

Di Andrea Valitutti[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]

Written by: Redazione

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