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Dal fustagno genovese ai cercatori d’oro, storia di un pantalone che ha fatto la storia del costume.
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“Noi stiamo parlando, c’è forse una bomba sotto questo tavolo e la nostra conversazione è molto normale, non accade niente di speciale e tutt’a un tratto: boom, l’esplosione. Il pubblico è sorpreso, ma prima che lo diventi gli è stata mostrata una scena del tutto normale, priva d’interesse. Ora veniamo alla suspense. La bomba è sotto il tavolo e il pubblico lo sa, probabilmente perché ha visto l’anarchico mentre la stava posando. Il pubblico sa che la bomba esploderà all’una e sa che è l’una meno un quarto – c’è un orologio nella stanza – : la stessa conversazione insignificante diventa tutt’a un tratto molto interessante perché il pubblico partecipa alla scena. Gli verrebbe da dire ai personaggi sullo schermo: ‘Non dovreste parlare di cose banali, c’è una bomba sotto il tavolo che sta per esplodere da un momento all’altro’.”
Alfred Hitchcock, maestro del cinema nato il 13 agosto del 1899 a Leytonstone, spiegava la differenza tra la sorpresa e la suspence, molto spesso confuse o addirittura sovrapposte, utilizzando questa situazione molto esplicativa. Il regista inglese ha basato tutte le sue opere sulla suspence, fondamentale per il coinvolgimento dello spettatore, che egli riusciva a creare non solo attraverso le trame dei suoi film, ma soprattutto sfruttando le tecniche cinematografiche più innovative, molte delle quali elaborate da lui stesso, così incredibili da diventare vere e proprie regole del linguaggio dei film.
Tra queste, molto famoso e riutilizzato dai registi successivi è il MacGuffin, ossia un oggetto di scena che diventa un espediente da cui poi si scatenano le storie raccontate nelle pellicole: la busta con i soldi rubati dalla protagonista di Psycho (1960), capolavoro assoluto di Hitch, ne è la migliore rappresentazione.
La sua opera è stata così determinante per la storia del cinema che già nel 1962 François Truffaut, giovane regista della Nouvelle Vague e scrittore dei Cahiers du Cinema, volle intervistarlo, e i loro incontri cominciarono proprio nel giorno del compleanno di Hitch. Le loro conversazioni sono raccolte ne Il Cinema secondo Hitchock, del 1966, libro non solo considerato come indispensabile per conoscere il cinema, ma anche fondamentale per sapere la storia del regista inglese e anche il suo modo particolarissimo di girare film. Hitchcock era, infatti, molto riservato -tanto da imporre ai suoi parenti di non pubblicare sue biografie dopo la sua morte- e in questa lunga intervista si è aperto molto, raccontando degli aneddoti e spiegando l’origine e la produzione dei suoi film, anche andando in profondità nelle esperienze più segnanti della sua vita, come l’episodio della sua infanzia per cui, dopo aver commesso una marachella, fu mandato dal padre in un commissariato e messo in una cella per una manciata di minuti.
Girano molte voci su come ossessionasse i suoi attori e sul suo atteggiamento quasi tirannico alla regia, e molte delle sue manie trovano rappresentazione nei suoi film, emblema della paura e dell’angoscia dell’essere umano. Nonostante ciò, la sua lezione è ascoltata e appresa anche oggi: tutti i registi conoscono Hitchcock e tutti utilizzano i suoi movimenti di camera per dire qualcosa oltre le parole degli attori.
Written by: Sara Claro
Dal fustagno genovese ai cercatori d’oro, storia di un pantalone che ha fatto la storia del costume.
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