Di cosa parla. Leggere è cibo per la mente. Ma non è sempre necessario fare scorpacciate di grossi volumi scritti fitti fitti e densi di periodi complessi, per trarre dalla lettura un corretto apporto calorico per la nostra materia grigia. Anzi, in alcuni casi, si potrebbe affermare che acquisisce maggior pregio quel libro in grado di arrivare dritto al cuore del lettore, arricchendolo di qualcosa, che sia un’emozione, una riflessione, o magari delle nozioni utili, attraverso una piccola manciata di pagine e parole. Un ottimo esempio di questo secondo genere di opera è proprio il breve scritto dal titolo “Il cappotto”. Preparatevi dunque a leggere tutta d’un fiato la triste vicenda di un buffo ed impacciato personaggio dall’altrettanto buffo ed impacciato nome di Akakij Akakievič, un anonimo funzionario di un certo ministero così ligio nel proprio dovere di copista, da non conoscere altro interesse al di fuori del copiare documenti di testo tutto il dì, filare dritto a casa, e lì continuare placidamente a pensare al lavoro svolto in passato, godere del frutto del lavoro ammonticchiato sulla sua scrivania nel presente, sognare il lavoro futuro che l’attende, innocentemente ignaro della derisione e della bassa considerazione che questo suo zelo suscita in ciascuno dei suoi colleghi. Un giorno, il nostro Akakij Akakievič avverte per le gelide vie della città un freddo di gran lunga più pungente dell’ordinario: il suo unico cappotto, già soggetto più volte a rimaneggiamenti, è di nuovo logoro. Come da prassi, l’importante indumento viene portato a casa del signor Petrovič, un ex servo della gleba alcolizzato che con il suo unico occhio e le sue mani incerte si guadagna il pane lavorando come sarto, nella speranza che questi possa sacrificare ancora una volta parte del colletto del cappotto per rattoppare le parti più danneggiate ad un costo sostenibile. Tuttavia, il giudizio del sarto non lascia alcuno scampo al povero impiegato ministeriale: “No, non si può riparare, è in cattivo stato (…), e di cappotto dovrete comunque farvene uno nuovo.” La vista di Akakij Akakievič si annebbia, le immagini si confondono tutte intorno a lui, lo shock è massimo. Un nuovo cappotto? Quale evento radicale! E con quali soldi? Come fare a racimolare l’inarrivabile cifra di centocinquanta rubli? Si avvia così per il protagonista un periodo di estrema povertà, parsimonia, digiuno e rinuncia all’utilizzo dei beni più disparati: dalla candela al tè della sera, dal camminare in punta di piedi per non consumare la suola delle scarpe al razionamento dei lavaggi di biancheria così da evitarne l’usura. Con una missione di cotanta portata da compiere, la sua esistenza si fa in qualche modo più piena, e questo lo porta persino a modificare il proprio carattere, ora più fermo e vivace. Arriva finalmente il momento per mesi agognato, l’attimo irripetibile in cui il cappotto viene ultimato, sistemato, pagato ed indossato. L’ingresso trionfale al ministero con quell’aria signorile e quell’aura di sicurezza che solo un simile capolavoro di cappotto nuovo di zecca è in grado di conferirgli, si tramuta ben presto in grande imbarazzo per il protagonista, che viene incastrato dai suoi maligni colleghi a presenziare come ospite d’onore ad un tè a casa di uno dei più alti funzionari, avendo cura di sfoggiare il proprio cappotto, naturalmente. La bella serata, che trascorre lieta tra buon cibo e bevande, è però destinata ad un tragico epilogo: durante il suo trasognato ritorno a casa, nel cuore della notte, lo sventurato Akakij Akakievič si imbatte in un gruppetto di delinquenti, che in men che non si dica lo privano del suo indispensabile cappotto, lasciandolo bocconi sulla neve gelida. Inutile rivolgersi alla guardia armata stanziata all’estremità opposta della piazza nella quale si era appena compiuto il misfatto, così come vano si rivela ogni tentativo di ottenere aiuto dall’ottuso ed incompetente commissario distrettuale. Tornato l’indomani a lavoro con indosso la vecchia lacrimevole vestaglia, qualcuno è mosso così tanto a compassione, da suggerirgli di rivolgersi ad un certo personaggio importante per risolvere la questione e fare giustizia. Quest’ultimo, però, troppo gonfio del proprio prestigio ed occupato a mantenere il proprio status di figura imponente e degna di reverenza, liquida il protagonista con l’accusa di aver avuto troppo ardire a diffidare dei segretari che gli avrebbero inoltrato la richiesta presentandosi direttamente a lui. Dopo l’ennesimo trauma, il gelo dell’inverno, la malattia che ne è inevitabilmente derivata, l’anonima esistenza di Akakij Akakievič giunge alla sua fine. O forse no: alcuni giorni dopo la sua morte, si diffondono per tutta Pietroburgo voci di apparizioni di uno spettro vestito da impiegato all’implacabile ricerca del proprio cappotto rubato, intento a strappare dalle spalle e dalle schiene dei passanti i propri soprabiti, incluso quello perfettamente calzante del personaggio importante, per poi dileguarsi per sempre nell’oscurità, dopo aver finalmente lasciato un segno del proprio passaggio su questa Terra.
Perché consigliarlo. “Il cappotto”, con il suo tragico umorismo, è certamente uno tra i più godibili e commoventi Racconti di Pietroburgo, e persino Fedor Dostoevskij ne riconobbe l’importanza, come si evince da una sua famosa affermazione: “Siamo tutti usciti dal cappotto di Gogol’”. Con uno stile semplice e scorrevole, ma allo stesso tempo brillante nella sua denuncia sociale all’indifferenza imperante nella dura e schiacciante Russia di ieri, in grado di spiazzare anche il più coriaceo dei lettori, “Il cappotto” si rivela un libro da provare assolutamente.
Per chi consigliarlo. Che siate gravemente intolleranti alla Storia o grandi appassionati di essa, siete in entrambi i casi fortemente incoraggiati a dedicare mezz’oretta (o meno!) del vostro tempo alla lettura di quest’opera che, senza alcuna ombra di dubbio, mostrerà attraverso la potenza del suo contenuto ai primi un nuovo modo di vivere ed emozionarsi al cospetto di un determinato periodo storico, e ai secondi del materiale differente in grado di arricchire il proprio bagaglio storico-culturale.
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