Ai congressi sentiamo spesso gli esperti di medicina spaziale parlare dell’ibernazione. È una cosa che esiste in natura, negli animali che d’inverno vanno nel torpore profondo e rallentano il metabolismo. Per l’uomo si tratterà di cercare di ottenere una sorta di sonno profondo, perché un equipaggio che dorme non mangia, non produce rifiuti e non crea conflitti in ambienti confinati
Debora Angeloni
Avete presente il film Passengers, dove i due passeggeri a bordo dell’astronave Avalon si risvegliano dal sonno criogenico durante il viaggio di trasferimento su un altro pianeta?
Forse in un prossimo futuro assisteremo davvero a tale processo: l’azienda Spaceworks di Atalanta è stata infatti finanziata dalla Nasa con l’intento di studiare la possibile realizzazione dell’ibernazione degli astronauti che dovranno affrontare dei lunghi viaggi nello spazio. Come prima destinazione sperimentale si pensa a Marte.
John Bradford, presidente della Spaceworks, sostiene che l’assopimento in cui cadono gli orsi in inverno possa essere riprodotto nell’uomo per circa due settimane. In questi 14 giorni la temperatura corporea umana viene ridotta da 37°C a 5°C, riducendo di conseguenza il metabolismo fino al 70%.
Lo stato di ibernazione deve essere intervallato da almeno due giorni di risveglio in stato cosciente per proseguire con un altro periodo di due settimane di sonno criogenico e così via fino alla destinazione. Lo studio sta focalizzandoci propri sforzi sul prolungare il periodo di “letargo” da 14 a 30 giorni, poiché la permanenza degli astronauti all’interno delle capsule di ibernazione fa sì che questi vengano protetti dalle radiazioni spaziali.
È chiaro che gli aspetti da perfezionare sono molteplici, ma il percorso da intraprendere è ormai segnato e ricco di possibilità.
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