Un nuovo software mostra i consumi energetici prodotti dal “mining” della criptovaluta
Una delle rivoluzioni del nostro secolo sono sicuramente le criptovalute: queste “monete” digitali hanno infatti sovvertito l’idea canonica del denaro legato ai contanti e ai depositi bancari, mostrando come un pc possa diventare una vera e propria cyberminiera.
Dopo qualche anno dall’arrivo sul mercato di queste monete, tre ricercatori di Monaco, coadiuvati da degli specialisti statunitensi del Mit, hanno elaborato un software per valutare i costi energetici della principale criptovaluta, ovvero il Bitcoin. Il risultato è sconvolgente: l’energia utilizzata dalla blockchain è pari a quella che usa Kansas City (cittadina di 500.000 abitanti) per il suo sostentamento, e il consumo di CO2 è paragonabile a quello di paesi come la Giordania e lo Sri Lanka.
Ciò che fa ancor più riflettere è che questi dati si riferiscono solo alla moneta più “minata”, perché i dati dovrebbero ritenersi raddoppiati se si dovesse tener conto di tutte le criptovalute presenti sul mercato. Un dato che sicuramente non va trascurato, ma che non cancella di certo l’enorme passo in avanti fatto con la moneta virtuale, che ha reso il denaro fluido e libero da imposte e controlli.
Certo però è che bisogna aprire un po’ gli occhi sui costi, e sicuramente la transizione alle fonti rinnovabili di energia permetterà di abbattere le emissioni create dall’immensa mole di dati da calcolare per generare la moneta.
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