Il 14 ottobre 1977 usciva Heroes, l’album capolavoro della trilogia berlinese (Low 1977 e Lodger 1979).
La trilogia è frutto del contatto del duca Bianco con la fervida Berlino degli anni ’70. L’ambiente mitteleuropeo garantisce a David Bowie la stabilità, dopo un periodo di dissipazione a Los Angeles, tra cocaina e magia nera.
L’incontro con Brian Eno si rivela la svolta all’immobilismo spirituale del Bowie consumato dalla droga. I due cominciano un progetto comune al quale prenderà parte un team straordinario: Robert Fripp e Carlos Alomar alla chitarra, Dennis Davis alle percussioni e George Murray al basso.
Heroes si rivela un album fuori dal panorama della disco music e punk degli anni ’70. Avanguardia è parola d’ordine con Bowie: Beauty And The Beast, Joe The Lion, Sons Of The Silent Age, ne sono la dimostrazione.
Marchiate dall’inconfondibile presenza di Eno sono Moss Garden, Neukoln, The Secret Life Of Arabia.
Poi Heroes, la titletrack, che entra nei classici della storia del rock.
Iconica anche la foto della cover, scattata da Masayoshi Sukita, che si ispira a Roquairol, un quadro dell’artista tedesco Erich Heckel, in cui il soggetto posa in modo molto simile a quello di Bowie. Qui in cantante si spoglia delle maschere degli album precedenti per rivelarsi nell’algido aspetto robotico e il fascino androgino.
Nell’immaginario di una Berlino cupa, devastata dalla guerra fredda, ma resa viva l’immenso fermento culturale nutrito dalla corrente espressionista, Bowie riflette con sguardo cristallino un mondo che sta cambiando, di cui Berlino è la pura rappresentazione.
Il blues e l’elettronica di Kraftwerk e Neu sono fuse in un futuro che quando si è realizzato non è diventato passato, ma è sempre rimasto presente.
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