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Soundtrack da ascoltare durante la lettura: “A Christmas Carol Main Title” – Alan Silvestri
Quando qualcuno non manifesta particolare entusiasmo nel festeggiare il Natale, si tende a paragonare quella persona a due personaggi, che ormai sono più famosi di Babbo Natale: il Grinch e Scrooge. Leggilo di nuovo, dillo con calma. Scrooge. Il nome basta a procurare i brividi, ma se ci aggiungiamo la faccia austera e la totale mancanza di empatia, ecco che otteniamo un vero incubo natalizio… O almeno, questo è quello che il film Disney ci ha sempre fatto credere.
Ripassando la trama di “A Christmas Carol”: un uomo particolarmente avaro intraprende un viaggio spirituale nel passato, nel presente e nel futuro per imparare a cambiare i suoi modi così distaccati.
Da questa favola senza tempo di Dickens, sono nati ben due film d’animazione: uno storico, della Disney, uscito ormai 13 anni fa e uno nuovo di zecca, firmato Netflix. Il primo è del regista di “Ritorno al futuro” e “Forrest Gump”: una garanzia. Ma se Robert Zemeckis eccelle nelle pellicole girate con attori reali, bisogna anche citare i suoi problemi con la CGI, molto evidenti in un suo altro film d’animazione intitolato “Polar Express”.
La tecnica di Polar Express è stata usata anche per “A Christmas Carol” e ottiene lo stesso identico risultato: paura.
L’automatonofobia è la paura irrazionale delle figure umanoidi –siano esse robot, statue o animazioni– non abbastanza realistiche da imitare quel senso vitale caratteristico delle persone. Esiste perché, in quanto esseri viventi, siamo in grado di riconoscere altri esseri viventi come meccanismo di difesa: se qualcosa si avvicina spaventosamente alla vita ma ha gli occhi vuoti, ci fa paura. Ovviamente, non tutti sudano freddo vedendo il film Disney, ma un certo senso di straniamento e inquietudine è molto comune. E così come è stato per Polar Express, A Christmas Carol risulta davvero inquietante. Citando alcuni spettatori che hanno commentato a caldo:
“quegli occhi senza vita sono davvero inguardabili”
…nel senso più spaventoso del termine.
La CGI del film Netflix è, d’altro canto, spettacolare: realistica al punto giusto, i colori sono brillanti e con quegli occhioni, persino Scrooge sembra carino, quando non è troppo imbronciato. L’occhio è decisamente accontentato, ma c’è di più: questo secondo film fornisce un background, finalmente. Alcuni aspetti della vita di Scrooge sono molto approfonditi rispetto al libro e per questo, Netflix da la possibilità di capire le ragioni per cui una persona possa diventare così notoriamente scorbutica.
Scelta vincente: dal momento che siamo molto interessati ai motivi per cui i cattivi diventano tali, questa nuova storia è più coinvolgente, dinamica, soprattutto se intervallata da magiche canzoni natalizie. Lo so: i musical sono un tasto dolente, o si amano o si odiano. Ma vale davvero la pena godersi la musica con quelle luci quasi psichedeliche.
La storia, i personaggi e l’ambientazione rimangono più o meno gli stessi. Per aiutarvi a capire, in autonomia, quale dei due sia meglio, voglio porvi una domanda: che tipo di messaggio voleva trasmettere, in origine, Dickens?
Perché siamo d’accordo nel dire che il viaggio possa essere percepito come spaventoso, un incubo, ambientato in una tenebrosa Londra vittoriana, e allora la Disney avrebbe fatto centro. Eppure, alla fine dei conti, tutte le opere di Dickens hanno un lieto fine: cosa c’è di male se viene spoilerato e disseminato un po’ in giro per il film?
Qualche luce in più non fa male a nessuno…
Scritto da: Alice 5D
Written by: Aurora Vendittelli
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