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Cercando una risposta al dilemma delle otto montagne discusso nella scorsa diretta YCBook, l’autrice ha cercato ovunque informazioni utili alla risoluzione. Sono partita proprio dal film “Le otto montagne” presentato recentemente al festival di Cannes, ma dopo aver faticosamente superato lo shock nel sentire Alessandro Borghi parlare in montanaro – per i fan di Suburra e di Aureliano Adami sarà devastante – , non sono riuscita a trovare granché. I paesaggi di montagna, alpini o nepalesi che siano, sono intrappolati in un’inquadratura cinematografica piccina, troppo stretta per l’immensità che solo la montagna sa trasmettere: non posso trovare risposte, se non vedo tutto.
Il film segue la storia di un’amicizia particolare, tra due ragazzi dai background radicalmente diversi: uno cittadino, l’altro montanaro da generazioni, agli antipodi eppure così simili e pieni di rispetto l’uno per l’altro. Forse anche per il carattere autobiografico della narrazione, la pellicola ha riscosso molto successo tra gli spettatori presenti nelle sale, lasciando tutti, però, con lo stesso interrogativo: perché usare la regia in tre quarti? Il formato in tre quarti è quello “quadrato” dei film di una volta in bianco e nero, girati nel secondo dopo guerra. È vintage, delicato ed elegante, catalizza l’attenzione sugli sguardi e le espressioni: questo solo se i personaggi principali sono umani. Quando la protagonista è la montagna, quegli spazi neri ai lati dello schermo al cinema diventano davvero un peccato, quasi irritante. Tra accuse di raffinatezza insensata e a tratti esagerata, c’è qualcuno che prova a dare una spiegazione logica.
Secondo alcune teorie abbastanza gettonate, la decisione di intrappolare il paesaggio in un quadrato striminzito potrebbe simboleggiare la ristrettezza delle idee di Bruno, l’amico montanaro. Da quando è piccolo, gli è stato insegnato che la montagna –e solo la montagna– doveva essere la sua casa. Gli sono state vietate altre realtà, ritmi, emozioni e l’incontro con il più aperto Pietro non lo ha cambiato minimamente. Ama il suo amico, sua moglie e sua figlia ma, più di tutto, ama la montagna e non la lascerebbe per nulla al mondo.
“Io sono capace di vivere solo in montagna; non è poco, no? Questa montagna non mi farà mai del male.” –Bruno
Quando finite di rileggere la citazione qui sopra con uno spiccato accento da maestro di sci, sappiate che si tratta soltanto di teorie, non è stato confermato niente. Però una cosa rimane vera: i film sono arte, così come un quadro o un’istallazione. Perciò un’inquadratura o una luce particolare possono davvero fare la differenza: guardate questo film con la curiosità di capire cosa c’è dietro e, magari, arriverete a risolvere il dilemma una volta per tutte.
Written by: Alice Franceschi
Alessandro Borghi film guarda in camera inquadratura Le otto montagne
Tempo di lettura 3 minuti
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