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benessere

Green Life: mi vesto con etica!

today21 Maggio 2023

Background
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Soundtrack da ascoltare durante la lettura: “Sostenibile” – Giulio Wilson ft. Inti-Illimani

Ciò che intendiamo quando parliamo di Green Life è anche tutto ciò che riguarda l’etica, la sostenibilità e la concezione del cruelty free. Anche quando ci vestiamo.

C’è un mondo dietro a tutto questo che è in evoluzione continua. Ma come facciamo ad informarci?

Ph. Credits @Engin_Akyurt su Pixabay

Vi ribalto subito la domanda. Avete mai provato a leggere le certificazioni e le etichette dei prodotti che acquistiamo? Da dove viene la merce che scegliamo? E’ sostenibile il materiale con cui è stato prodotto il vestito che abbiamo comprato? E per realizzare il nostro ultimo paio di scarpe alla moda è stata rispettata tutta la trafila di norme per la sicurezza e per i diritti dei lavoratori?

Dietro le etichette e le certificazioni si spalanca un modo sulla filiera che racconta la storia dell’oggetto, del cibo o del servizio che decidiamo di acquistare. Una storia fatta di norme da rispettare, di tutele verso il lavoratore e verso il consumatore. Ma soprattutto una storia fatta di etica che dovrebbe tramutarsi in consapevolezza da parte nostra.

Oggi voglio parlarvi di moda, ma ve ne voglio parlare andando a sbirciare insieme a voi dietro le quinte di un qualsiasi ipotetico atelier. C’è modo e modo di realizzare un prodotto tessile. Dietro ad un qualsiasi brand c’è la scelta ben precisa di materiali, confezionamento e modalità di ricavo delle fibre.

La certificazione OecoTex

Esiste, per esempio, una certificazione che si chiama OecoTex che garantisce a noi consumatori che il capo scelto è stato prodotto con materie prime che rispettano l’ambiente. Però non garantisce che non sia stato confezionato da minori che non hanno potuto frequentare la scuola. Meno che mai può assicurarci che i produttori del cotone utilizzato non abbiano lavorato in condizioni malsane ed abbiano pagato anche con la vita. Quindi possiamo avere una certezza da un lato, ma informazioni del tutto oscure nell’altro.

Ph. Credits @Counselling su Pixabay

La certificazione Mulesing Free

Se parliamo di lana, invece, dovremmo poter conoscere per filo e per segno la provenienza del pelo animale del nostro capo d’abbigliamento. E soprattutto dovremmo poter essere informati sul trattamento degli ovini in questione. Sono stati allevati e tosati in maniera etica con il cosiddetto metodo Mulesing Free?  I veterinari raccontano e sconsigliano questa pratica perché considerata cruenta.

Ma a questo punto esistono lane veramente sostenibili? E come le riconosciamo? Per esempio c’è la lana di Yak. Questa fibra non si raccoglie con la tosatura, ma viene ricavata dal pelo del bue caduto spontaneamente a terra. E, se vi state chiedendo se ne esistano alcune affatto sostenibili, vi rispondo subito di si. Prima fra tutte la lana cashmere ricavata dal pelo della capra hircus. I pascoli dove viene allevata stanno causando la distruzione delle praterie degli altopiani asiatici.

Ph. Credits @RosiePosie su Pixabay

E allora cosa scegliamo?

Di certo non i materiali “plastici” come l’acrilico e i tessuti non biodegradabili. Non sono traspiranti, non fanno bene al nostro organismo e meno che mai al Pianeta.

Abbiamo più volte parlato anche in diretta di tessuti davvero innovativi che sono l’alternativa più etica e che sono apprezzati soprattutto dai giovanissimi. Si ricavano dalle piante, dagli scarti della frutta, dai funghi, dalle foglie di mais, dal sughero e addirittura dal tea Kombusha. Non solo fibre riciclate, quindi, quanto anche prodotte dai microbi.

Non farò nomi precisi di brand per ovvie ragioni commerciali, ma esistono creazioni interamente Made in Italy prodotte con una sorta di finta pelle generata dagli scarti della mela. E ancora quelle generate dagli acini d’uva e dal muschio.

Voglia di pelliccia!

Non scherziamo! Se vogliamo puntare a scelte etiche e sostenibili non se ne parla proprio. A meno che non si trovi una soluzione ecologica e circolare. Ed eccola qua, si tratta della pelliccia Koba fur free, proposta per la prima volta dalla stilista inglese Stella Mc Cartney nel 2019. E’ prodotta con ingredienti vegetali e con poliestere rigenerato che può a sua volta essere riciclato di nuovo. Produzioni del genere sono anche molto meno impattanti sull’ambiente e riducono i consumi di energia.

etica
Ph. Credits @Alexas_Fotos su Pixabay

Cane o gatto? Occhio all’etichetta!

Una piccola indicazione in più, però, ve la voglio dare. Secondo il Regolamento (CE) n. 1523/2007 del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’11 dicembre 2007 è vietata la commercializzazione, l’importazione nella Comunità e l’esportazione fuori della Comunità di pellicce di cane e di gatto. Ovviamente, anche di prodotti che le contengono. Ma è sempre meglio controllare, quindi occhio alle etichette dei vostri capi.

E’ pelliccia di cane se in etichetta c’è scritto: – Asian jackal – Asiatic racoonwolf – Asian wolf – Cane procione – Cane selvatico – Corsak. E ancora – Corsak fox – Dogaskin – Dogue of China – Finnracoon (asiatico) – Fox of Asia – Gae wolf – Gubi – Kou pi.

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Ph. Credits @moshehar su Pixabay

E’ pelliccia di gatto se in etichetta c’è scritto: – Gatto di Cipro – Gatto Lyra – Genette – Goyangi – Housecat – Katzenfelle – Lipi – Mountain cat – Special skin – Cat Wildcat.

Da evitare anche le etichette in cui torivamo scritto: – Loup d’Asie – Lupo Asiatico – Lupo cinese – Murmanski – Nakhon – Pemmern wolf – Procione asiatico – Sakhon – Sobaki.

Il prezzo dice bugie?

E soprattutto non facciamoci “deviare” dal prezzo. Il costo abbordabile di un capo con inserti in pelliccia NON è un parametro concreto e affidabile. Se un capo costa poco non significa che la pelliccia sia sintetica. Spesso, infatti, la lavorazione di vera pelliccia viene considerata più economica di altre opzioni. Quindi occhio sempre all’etichetta interna. Impariamo a distinguere bene e a scegliere altrettanto bene.

Dall’8 maggio 2012 tutti i capi con pelliccia, piume o pelle devono avere la dicitura “contiene parti non tessili di origine animale”. Ma nel caso in cui ci si trovi di fronte un capo non avente questa dicitura, bisogna prestare attenzione ad una lista di nomi segnalati dall’Oipa che vi ho indicato sopra.

etica
Ph. Credits LAV – Facebook Official Page

Fin dalla scuola

Il rispetto per la vita, di qualsiasi natura essa sia, parte dalla scuola. Fin da piccoli bisognerebbe abituarsi all’idea di un’etica reale, concreta e consapevole. E bisognerebbe iniziare a saper scegliere in piena coscienza da che parte stare. Esistono molte associazioni che si battono nel quotidiano per una moda senza crudeltà -cruelty free- prima fra tutti la LAV -Lega anti vivisezione-.

Questa associazione, sulla quale vi invito ad informarmi per saperne di più, ha collaborato con il Ministero dell’Istruzione per portare proprio nelle scuole progetti di educazione civica e culturale.

Sensibilizzare per primi i giovani equivale a mettere un tassello importante per quella che sarà la società del futuro. Se per primi i ragazzi diventeranno consapevoli di poter scegliere eticamente il meglio, avremo una speranza molto concreta per il domani.

Ora ne sappiamo tutti un po’ di più, quindi niente scuse! Occhio all’etichetta e decidiamo da che parte stare.

Written by: Valentina Proietto Scipioni

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