Nel 2013, in Italia, la quota di 25-64enni che si sono diplomati è di 3 punti percentuali a favore delle donne. Sono questi i dati che emergono dalle ultime indagini ISTAT e che evidenziano un vero e proprio svantaggio maschile nel settore dell’istruzione. Anche in ambito universitario, la situazione è molto simile: sono infatti laureati il 17,7% dei maschi tra i 30 e i 34 anni contro il 27.2% delle loro coetanee. Le donne inoltre tendono meno ad abbandonare gli studi, hanno un livello di competenza alfabetica migliore e fanno più formazione continua. Perfino in campi tradizionalmente maschili, il gentil sesso è riuscito negli ultimi anni ad ottenere ottimi risultati: tra le ragazze di 16-19 anni, infatti, la quota di quelle che registrano alte competenze informatiche è aumentata di quasi 8 punti percentuali tra il 2012 e il 2013. Un fenomeno dovuto probabilmente al fatto che le donne, relativamente “nuove” al mondo dell’istruzione, si sentono in dovere di recuperare tutti gli anni persi nel corso di una storia di dominio maschile.
A tanta preparazione, tuttavia, non corrispondono altrettanti sbocchi lavorativi: c’è infatti una sorta di “mismatch” tra investimento femminile nell’istruzione e riuscita nel mondo del lavoro. Tant’è che la quota di lavoratori sovraistruiti è maggiore fra le donne, e la probabilità di svolgere mansioni meno qualificate rispetto al titolo di studio conseguito è recentemente aumentata tra le giovani ma non fra i giovani. A tal proposito, è doveroso ricordare che solo recentemente è comparsa la figura della donna lavoratrice, indipendente sia economicamente che socialmente. In un passato non troppo remoto, infatti, veniva naturale associare il genere femminile al mestiere di casalinga: era lei che doveva occuparsi delle faccende domestiche, di cucinare e di crescere i figli, mentre la responsabilità di mantenere la famiglia e di prendere decisioni importanti spettava unicamente al marito. Oltre, quindi, a causa dei pregiudizi nei confronti delle donne e delle loro capacità fuori dalle mura di casa, la società attuale tende a preferire gli uomini anche per un discorso di affidabilità nel tempo: ancora oggi, infatti, non viene adeguatamente riconosciuto l’altissimo compito della procreazione, e il rischio di ritrovarsi con una dipendente neo-mamma è troppo grande per molti datori di lavoro. Inoltre, la tradizione culturale e sociale ha fatto sì che gli uomini siano avvantaggiati in determinati lavori solo perché alle donne non è mai stata data la possibilità di svolgerli.
Il gender gap occupazionale, tuttavia, è diminuito in questi ultimi anni, ma non grazie alla volontà di voler veramente cambiare la situazione. La crisi ha infatti colpito maggiormente i settori con una presenza maschile più alta rispetto ai lavori prevalentemente svolti dalle donne (come, ad esempio, quelli part-time), trasformando lo svantaggio salariale femminile in una sicurezza dal punto di vista del mantenimento del lavoro.
Alla luce di ciò c
he è stato detto, è di fondamentale importanza proseguire il processo di emancipazione della donna, abbandonando tutte quelle vecchie concezioni che la vedono subordinata all’uomo. Senza infatti una loro attiva partecipazione partecipazione e integrazione all’interno di ogni decisione, difficilmente si potrà raggiungere una vera e propria uguaglianza fra generi.
di Luca Bergantino
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